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No. No. E solo no. Ma in fondo è “si”

Creato il 24 gennaio 2011 da Buenagirl

E’ che tutto fa paura.
Tutto, partendo da me. Risolvere cose che mai avresti pensato possibili, attuabili, o anche solo immaginabili.
Passare per e strade, vederci sorrisi e anche discussioni.
E sorridere di tutto.
Pensare che l’unica cosa che vuoi, adesso, è sorridere all’unica persona al mondo che non ti vuole vedere, non ti cerca, e raccontargli che nel fondo di dolore in cui ti eri confinata, c’hai visto una marea di luce e che ne vorresti uscire, dal nero, e arrivare a quella luce, scioglierti nella luce e pensare solo a goderne.
Pensare che quella persona ne è stata mezzo, motore. Amore puro.
Che ti si sei ritrovata una specie di energia incontenibile dentro, quell’energia ha un nome, amore, e un’espressione, dare, che sono le cose più difficili da fare in questo mondo.
Non è che poi ti manca, questo motore. E’ mancato i primi giorni, quelli dell’incertezza, oggi c’è una specie di sublimazione e scopri di passare le ore a raccontargli le cose. A sperare di incontrarlo casualmente per strada, e che tutto sia se non come prima, almeno più maturo.
Perché puoi combatterla quanto vuoi la natura che hai, puoi ucciderla, seppellirla sotto consuetudini, sotto “è lecito”, “giusto”, perfino sotto l’obbligo.
Ma è come una serpe che ti avvolge e prima o poi, per non morire, esce.
E’ una crepa leggera. Poi diventa una vera e propria falla. Poi, un’esplosione.
Sono quei no. Sono quei cambiamenti che ti rendono felice e triste assieme, ma sono necessari.
E’ come una specie di corda. Puoi tirare, puoi stare lì ad aggrapparti più in alto, ma è solo per un tempo momentaneo.
Poi cadi. Ci sono giorni in cui tutto va bene e giorni in cui tutto va male. Giorni che sopravvivi, poi cadi, poi ti rialzi ed è tutto un dirti “No”.
Quel no non è a te. E’ mio. Sono io stessa a dirmi no.
Perché, sai, la paura arriva rapida, silenziosa, è una bestia, arriva e non fa più vivere, sperare, ti fa alzare andare verso la dispensa e affogare per non pensare. A lui, prima, a te, poi, ma non sono nemmeno due cose diverse sono una stessa rapida sensazione, che passa per la schiena e sale sale e sale ancora più su. Arriva sulla punta della lingua e non capisci nemmeno più se è dolce o salato quello che mangi.
Ha un unico sapore.
Mangi, butti giù e non sai nemmeno perché. Il cervello non c’è nemmeno, in ferie o semplicemente sotto scacco. Me lo immagino legato, ad una sedia, fermo immobile, tenuto in scacco dal mio diabete ancora infante e dalla pancia e da quella serpe che mi fa sperare di avere anche io dei fianchi. Li avevo, ma non mi ricordo più come erano. Se mi stendo, allora una curva la trovo, alle volte lui la sfiora. Mi chiedo, sai, se si illude anche lui.
Ti ho raccontato di lui, te ne ho parlato che forse è anche troppo, ne parlavo a me. Me lo trovavo la mattina al risveglio, sai, in quelle mattine con l’oro in bocca, belle, che tutto pareva normale.
Che mi pareva di alzarmi, di dire “ehi, va tutto bene. Oggi è un Nulla”. Bastava il tempo di mettere la musica e capire che quel dolore iniziava a irradiarsi sempre sempre e ancora di più.
Passava per la schiena e per le gambe fino al cuore, alla testa alla bocca. Ne usciva il suo nome sussurrato.
Mi manca e non lo ritrovo, immobile. Sta tutto in questo sai, questa fame che non controllo, i no che ti dico, il muro di cinta che costruisco solo intorno a chi mi pare, da lontano, un pericolo.
Con lui, sono state bugie e mezze verità. Allusioni, lui le odia le allusioni. Mattoni.
Poi la fuga. Altre braccia, altre mani, altre emozioni. Nulla diversi, poi, che Nulla non erano.
Mesi di silenzio. Tre mesi. Forse più. Ho lasciato i suoi spazi, il tempo. Non l’ho cercato. Ho ammucchiato lettere mai spedite. L’ho cercato fra le strisce del tempo.
Sentire sulla lingua vibrare fiati che portano altri nomi, mani che si muovono. Mani che non sono quelle. E le cerchi. Nella forza delle strette che ricordi, conti i giorni da quelle strette e pensi solo che c’è solo tempo, passato, ore, giorni, guarda, so anche i minuti. Sono sospiri.
Pensi a “non dirmi che hai paura, non dirmi oddio”. A una mano forte che passa per la schiena. Un abbraccio, solo uno.

Non è mancanza. E’ fame.
E’ speranza che lui passi di qua. Penso, immagino, io sono una sognatrice nata, che qualcuno gli parli, pensa te, e che tutto si dissolva.
Sogno di incontrarlo per caso. Di avere i capelli come li voglio i fianchi come li voglio, un’espressione come ..dolce. Perché io non sono cattiva.
Ma passo per cattiva. Quante nefandezze ho fatto, quante volte il Karma mi è diventato verde acido, e io come lui? Io sono così chiusa su me stessa, sai, ha ragione, e quei no sono serrature che ho messo, in fin dei conti, sei uno specchio che legge le cose più intime di me, attraverso queste righe e questi segni e così, solo così, io sono nuda.
Di fronte a tutti. Persa.
A Largo Agnesi. Parcheggiare di fretta, scappare a lavoro e poi, tornando, sfatta, stanca, vedere la sua macchina. Annusare dal vetro, lì intorno. L’odore.
Il suo.
E salire in macchina. Urlare.
Mangiare.
Scrivere.
Non a lui.
Poi tornare, e scrivere a lui. Per strada parlargli. Dirgli, ci sono così tante cose. Poi sentirsi sterili e pesanti.
Ho pensato a me, al mio spazio, a quanta superficie occupavo, l’ho aggredito col mio dolore, me lo creavo apposta a rintanarmi sempre più giù e giù e… Giu.

In fondo. Al nero.
Al No che ti dico.
Vorrei dirti si, che hai ragione. Io sono spaventata anche solo dal credere che in fondo niente è peggio di questo sopravvivere.
Ma poi mi dico che lui non c’è e allora sto in questa grotta.

Non sono intelligente vedi. Nemmeno coraggiosa.
Dovevo dirglielo che l’amavo, con tutte le mie energie, zoppicando.
Facendo errori, ma l’amavo. Sempre di più.
Ogni giorno.
Che sorridevo, al mondo, a lui.
Che il Sanpietrino alla fine l’ho rubato, che ho imparato a parcheggiare a retromarcia.
Lì, vicino al Bar. Che Simone mi dice sempre “tutto bene?” e io gli dico “si”.
Che il libro non l’ho letto, l’ho abbandonato lì a Largo Agnesi, vista Colosseo.
Che è sangue, vita e aria.
E che non stavo così da anni, così viva.

No.. perché non c’è e anche tutto questo è pietoso e ridicolo.
Che come ha detto lui, si crede all’energia che si sviluppa fra due corpi che entrano in contatto.
E sai a me cosa viene in mente? La mia testata contro il montante della macchina. Il mio “ahi!” le sue dita fra i capelli che non gli permettevo di toccare.

Lui, il mio ciclone.
Mi dicono “hai gli occhi spenti”.
Diversi, ma compatibili.

Sto nella mia caverna di no. Spero, lo chiamo, gli parlo. Parlo anche a me.
Sono spaventata a morte. E di solito, quando è così, mi aggrappo per non cadere.
Non puoi salvarmi. Nessuno può
Io, si

Ma dimmi. Da dove si inizia?



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