Sul Corriere della Sera on line del 26 gennaio 2013 si legge un appello di alcuni intellettuali europei, tra cui il nostro Umberto Eco, che conclude con “l’unione politica o la morte ”, “o l’Europa fa un passo in più, ma decisivo, sulla via dell’integrazione politica, oppure esce dalla storia e sprofonda nel caos”.
Non è concepibile che siano proprio degli intellettuali, proprio coloro che avrebbero dovuto difendere i popoli da questo abominio, a parlare in quei termini. Non hanno il diritto di parlare di democrazia, né di libertà, né di diritto, difendendo la chiusura del cerchio di un’Europa che si palesa come la più terribile violazione proprio di quei principi che, nel loro appello, pretenderebbero di voler difendere.
Questi signori forse dimenticano come all’indomani della seconda guerra mondiale, delle grandi anime raccolsero un grido profondo che si levava dal silenzio assordante dei cadaveri ancora giacenti sui campi di battaglia, da quell’enorme orrore che furono i campi di concentramento e dal dolore talmente forte, da essere muto, dei sopravvissuti di quella terribile parentesi della storia dell’umanità.
Da quel dolore potè levarsi quel grande respiro di democrazia che pervase la nostra storia, seppur per breve tempo, intesa come il più grande emblema della conquista della consapevolezza del senso “umano” dell’uomo.
Si, perché “umanesimo” è l’essenza della democrazia, perché nessuna democrazia può esistere senza amore per l’uomo, per il suo “essere”, per la sua storia e per la sua cultura e ciò pur nella consapevolezza delle sue diversità e, anzi, proprio nel rispetto di queste differenze. Perché la grandezza della democrazia sta proprio nel consentire di creare armonia nelle differenze, di modo che il talento ed il merito di ognuno trovino il loro posto, fondendosi in una perfetta sinfonia. E’ quel superiore senso del “limite”, di aristotelica memoria, che consente di raggiungere la proporzione, la misura e l’armonia, che sono poi i principi sui quali si fonda, e che esprimono, la dimensione piena della vera politica.Peccato che qualcuno dimentichi che l’Europa e la sua storia, soprattutto la storia dei popoli europei, non hanno nulla a che fare con quella degli Stati Uniti d’America, furtivamente richiamata nell’appello, e che il Sacro Romano Impero è già caduto una volta e la sua storia è collegata ad un cupo Medioevo.
Quest’Europa non ha nulla a che fare con il “sogno” di quegli intellettuali, che all’indomani della guerra pensarono ad essa come alla culla della pace, dell’armonia tra i popoli e del benessere collettivo.
Ebbene, Vilfredo Pareto ebbe a scrivere: “E’ tutt’altro che certo che la storia si ripeta sempre allo stesso modo: quel che è certo è che si ripete sempre entro certi confini che potremmo definire “principali”(…). Gli avvenimenti del passato e quelli del presente si danno mutuo sostegno(…) per la propria reciproca comprensione”.
L’avvento “dell’euro” si presenta alla storia come la versione “più evoluta” dei tentativi di “unioni monetarie” del passato: dall’Unione monetaria latina, all’Unione monetaria scandinava, o a quella siglata tra gli stati tedeschi dello Zollverein e l’Austria, culminata nella guerra austro-prussiana del 1867. Ma sulla stessa linea si possono collocare anche le fallimentari operazioni del “serpente monetario” e dello SME.
Nessuna di esse, a ben guardare, ha mai avuto un particolare riguardo per gli Stati ed i loro popoli, né, alla prova dei fatti, si è rivelata di garanzia o tutela per gli stessi. Piuttosto, hanno creato solo problemi economici non indifferenti, di cui hanno fatto le spese sempre i cittadini.
Se si prova a prendere in mano l’art.2 del Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Economica Europea, nella sua versione originaria, si legge: “La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni tra gli Stati che ad essa partecipano”. Raffrontando queste parole con lo scenario catastrofico che quotidianamente ci si delinea dinnanzi, gli interrogativi sono sicuramente infiniti e le risposte, quantomeno, sconcertanti. Di sicuro rimangono solo i risultati, la cui realtà fattuale è certamente l’opposto di quanto “surrealisticamente” annunciato nei propositi.
Analizzata nel dettaglio, tutta l’operazione dell’Unione Europea, così come è stata realizzata e a dispetto della linea confederalista originariamente prevalente sotto l’egida di De Gaulle, visto l’epilogo cui si è giunti e verso cui la si sta portando, appare, ed è, una pura follia: giuridica, politica e storica, oltre che economica, una sfacciata violazione del principio di autodeterminazione dei popoli, fondamentale principio di diritto internazionale generale (jus cogens), codificato nella stessa Carta delle Nazioni Unite, nonché dei diritti fondamentali dell’uomo.
Ma il paradosso più abnorme è dato dal fatto che proprio l’Europa, che ha dato i natali all’elaborazione filosofica, politica e giuridica più alta del concetto di “democrazia” e del principio del “contemperamento dei poteri”, quale baluardo e garanzia della democrazia stessa, abbia potuto accettare che una delle principali prerogative del potere sovrano dello Stato, sempre democraticamente concepito (laddove nel concetto di “Stato” si sottolinea il principio, di ciceroniana memoria, dell’inerenza del popolo allo Stato), potesse essere trasferito ad entità che nulla hanno a che fare con il concetto stesso di Stato ed esterne agli Stati stessi, alle quali è stata attribuita la più totale indipendenza ed immunità, ivi inclusa la sostanziale impossibilità di controllo da parte di alcuno, ma con poteri di decisione su aspetti fondamentali della vita degli Stati e della loro popolazione. La moneta è il “motore” dell’economia: senza la moneta, geniale intuizione che ha permesso di uscire dall’economia del baratto, è quantomeno surrealistico anche solo ipotizzare politiche di crescita o di ripresa. Qualunque promessa elaborata alle attuali condizioni è una macroscopica falsità.
L’unico effetto che l’operazione dell’Europa e dell’euro ha avuto e, vista la scientificità che è stata adottata nel realizzarlo, ritengo sia difficile non pensare che fosse voluto, è stato quello di mettere a disposizione della finanza privata, e consegnare in pieno potere della stessa, un enorme mercato su cui sbizzarrirsi: quello di un’Europa brillantemente ripresasi dal secondo dopoguerra, ricca di risorse a cui i mercati hanno mirabilmente attinto.
Operazione perfettamente riuscita.
Il resto sono solo illazioni: non esiste un’”Europa dei popoli”. Se così fosse, perché quei “tecno-finanzieri” che tengono in pugno tutti i politici d’Europa, ed i politici stessi, dovrebbero avere così tanta paura del verdetto di quei popoli espresso in un referendum? Perché chiamano in tono spregiativo “populismo” la pura proclamazione, da parte di quegli stessi popoli, di diritti inviolabili, sanciti in atti ed in principi oramai acquisiti al diritto internazionale quale jus cogens, e parlano ed agiscono in spregio alle grida dei cittadini che chiedono solo di vivere con dignità? Che senso avrebbe avuto, in ulteriore spregio e violazione di tutte le norme ed i principi giuridici più elementari, lasciare agli Stati dei Parlamenti “fantoccio”, con dei politici oramai ridotti a “servi” degli ordini impartiti da tecnocrati, ciechi addirittura davanti all’evidenza dello sfacciato fallimento del loro teorema?
Non c’è democrazia senza rispetto dei popoli, della loro cultura e della loro storia: qualunque processo che pretenda di passare sopra questo principio è destinato a fallire, con grande dolore per chi ne subisce il fallimento.
Avv.Paola Musu