La ripetizione di certi temi o situazioni, danneggia una raccolta di racconti? Da un po’ di settimane ho ripreso in mano una serie di racconti che pubblicherò ancora sulla piattaforma Narcissus (esatto, come ho fatto con “Non hai mai capito niente”).
È l’occasione per rileggere con uno sguardo e una testa libera da impressioni false, quello che ho combinato. Non ricordo più né battute né dialoghi, il che è perfetto.
Finché quello che hai scritto non suona estraneo alle tue orecchie, rischi troppo. Non solo non vedrai errori, o refusi. Ma non ti renderai nemmeno conto di cosa hai davvero combinato.
E in effetti ho scoperto questo. Ci sono un paio di racconti che si somigliano. In parte, si potrebbero definire uno la continuazione dell’altro. In entrambi le protagoniste sono donne. Sole. Entrambe hanno un figlio con gravi handicap cerebrali.
Non mi ero reso conto di aver scritto queste storie così simili. E come potevo?
D’un tratto appare un’immagine, una bambina che per esempio cammina da sola sul marciapiede, in un quartiere della periferia. Si ferma una macchina, si apre una portiera. Una voce di uomo che più o meno dice: “Ma che bella che sei…”.
Oppure una madre che al mattino prepara la figlia per andare al centro di assistenza dove resterà per l’intero giorno. Non puoi prevedere cosa accadrà la riga dopo, la pagina seguente. Speri solo di essere abbastanza bravo da tenere la bocca chiusa e lasciar che siano i personaggi a parlare. Spesso chi scrive è così noioso quando apre bocca.
Lo hai notato?
Hai notato che gli scrittori quando sono interrogati su economia, lavoro, religione, società, sono stupidi come capre? Certo, alcuni li trovano affascinanti, perché tra simili ci si intende al volo…
Però se capra non sei, dopo che li hai ascoltati ti chiedi come sia possibile che il tizio sia riuscito a scrivere quelle certe cose, e come possa affermare altre cose di una banalità che fa ribollire il sangue nelle vene, senza sentire il bisogno di trucidarsi all’istante. Perché sulla pagina ha abbastanza disciplina da tenere la lingua a freno.
Ma torniamo all’argomento di questo post.
Ho cercato di risolvere il problema piazzando il primo all’inizio della raccolta, e l’altro al termine. Così, ho pensato, il lettore forse non noterà certe similitudini. È ben difficile che chi comprerà questa mia nuova raccolta di racconti se la legga tutta in un giorno. Sono più lunghi rispetto a “Non hai mai capito niente”.
Quello che però mi ha indotto a lasciare così le cose è stato un argomento a mio modo di vedere, solidissimo.
Sono io forse Tolstoj? Dostoevskij? No.
Sono due racconti che si ripetono? Pazienza. Mica sono un genio. Qualcuno si lamenterà? Ribadisco: pazienza.