Trattandosi del padre del genere horror, vengono in mente i titoli di una serie di film trash anni 70-80 tipo “Chi è sepolto in quella casa?”. Purtroppo, però, qui la vera notizia terrificante è che se un turista come il sottoscritto arriva a Baltimora e chiede di quella che fu la dimora di Edgar Allan Poe, quasi nessuno sa dargli indicazioni precise.
Ognuno viaggia a modo suo, e io, ignorante come sono, raramente quando mi trovo in una città straniera faccio il giro dei musei d’arte contemporanea, né mi esalto all’idea di quadri barocchi custoditi in bellissime chiese. Mi preoccupo piuttosto di cercare, quando ci sono, le tracce delle biografie di scrittori importanti, chissà, forse per una perversa speranza di assorbire un po’ del loro genio letterario passeggiando nei luoghi della loro vita.
Arrivato nel Maryland, quindi, una capatina alla casa di uno dei capisaldi della narrativa americana era d’obbligo. Peccato però che le varie mappe e guide turistiche distribuite dagli alberghi di Baltimore non facciano il minimo cenno all’unico vero luogo di storia culturale di questa città, preferendo reclamizzare l’acquario, il porto turistico con quattro navi considerate d’epoca solo perché risalgono a prima degli anni ’60, e un’infinita serie di ristoranti a Little Italy.
Menzione speciale per il simbolo del luogo, vale a dire i granchi cucinati in ogni modo, ma nessun accenno al romanziere e poeta che qui scrisse molti dei suoi capolavori e le cui ossa ancora qui riposano (anche se il termine “riposo” non si sposa granché bene all’idea di Poe).
Nei negozi di souvenir neanche una maglietta o una calamita da frigo che faccia riferimento all’artista. Girando per la città alla ricerca di tracce della sua vita, mi sono imbattuto solo in un night club porno chiamato “The Black Pussycat”, ma temo che la somiglianza con il racconto di Poe sia, in questo caso, del tutto casuale.
Insomma sembra proprio che i cittadini e le istituzioni di Baltimora non siano interessati a promuovere la figura dello scrittore, al punto che – da italiano paranoico e sempre sospettoso- ho quasi pensato che come gestore dei beni culturali ci sia Bondi anche qua.
Tant’è vero che, trovato grazie alla magia di Internet il 203 di Amity Street dove la casetta di mattoni si erge con tutto il carico di energie negative che l’aurea dello scrittore ancora riesce a far avvertire, si viene a scoprire che la piccola casa-museo rischia la chiusura entro il 2012 a causa del taglio dei fondi pubblici che la sostengono. Insomma, sembra proprio che la letteratura come fonte di non attrazione non funzioni più, e che le visite alla casa di Poe vengano scoraggiate in tutti i modi al solo fine di giustificarne la dismissione in nome del risparmio di denaro politico. E a questo punto non ci sono più dubbi: Bondi centra di sicuro.
Certo giracchiare per le piccole stanze della costruzione non è l’esaltante esperienza multimediale che ormai sempre più spesso gli esigenti turisti di Expedia cercano nelle mete del loro peregrinare per il mondo alla continua ricerca di una Gardaland locale, ma non dovrebbero certo essere il divertimento e l’euforia, le ragioni del mantenimento della storia e dei suoi luoghi più rappresentativi.
Con l’aggravante, oltretutto, che Baltimora non è Parigi, e non ha centinaia di attrazioni e luoghi-simbolo da offrire al visitatore. In si e no quattro ore si è girata tutta la città vedendo il poco e nulla che c’è da vedere. E anche la tomba di uno scrittore del terrore può sembrare un esperienza vitale e completa, quando la si paragona all’affollatissimo, plastificato Hard Rock Cafè che a quanto pare è la meta preferita dai (comprensibilmente) pochi turisti che scelgono Baltimora come meta delle loro vacanze.
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