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Ricordo una intervista degli anni ‘90 in cui Giorgio Gaber ricordava la sua prima apparizione televisiva al “Musichiere” del 1959. Cantò il suo primo brano inedito, “Ciao ti dirò”, e il giorno dopo centinaia di persone lo riconoscevano per strada.
Con la sua smorfia da perenne sberleffo e la lucida ironia analitica con cui sempre guardava al mondo, in quell’intervista Gaber faceva un parallelo tra la sua esperienza di debutto catodico e quella delle effimere glorie da reality show contemporanee:
«Io stetti in televisione cinque minuti e immediatamente ebbi una popolarità enorme, oggi stanno in televisione per dei mesi, e non li conosce nessuno».
D’accordo… non bisogna neanche parlare delle differenze di talento tra Giorgio Gaber e Giorgia Palmas… ma non credo fosse tanto a quello, che il Signor G si riferisse, quanto alle modificazioni di un mondo che, moltiplicando l’offerta di personaggi da intrattenimento, in maniera quasi fisiologica ne diminuiva l’impatto e la forza sull’opinione pubblica, facendo sì che, di conseguenza, anche la qualità e lo spessore di tali personaggi diventassero un inutile optional.
L’avvento di internet, poi, ha elevato all’ennesima potenza il catalogo di proposte e stimoli, regalando a chiunque la possibilità di mettersi in vetrina ed esporre la propria creatività, la propria mercanzia, la propria persona . Gli scrittori non hanno più bisogno di un editore che faccia da filtro e selezioni: si pubblicano da soli. Lo stesso avviene per i musicisti, per gli attori e per i registi, per i fotografi e i pittori, per chiunque sia alla ricerca di un pubblico al quale rivolgersi nella disperata ricerca di un applauso.
Così, se fino agli anni ’50 pubblicare un romanzo, allestire una propria mostra personale o girare un film da protagonista garantiva una certa visibilità, oggi la terra è piena zeppa di artisti ultraproduttivi, magari anche bravissimi ma, ciononostante, non famosi. Si può rimanere primi nella classifica dei best sellers per due mesi e venir dimenticati due giorni dopo, vincere una importante manifestazione canora senza che nessuno si ricordi il timbro della tua voce, avere un sito oggi cliccatissimo ma sostituito dopodomani dalla nuova webzine di tendenza momentanea.
Tutto ciò è assolutamente straordinario, incoraggiante, e vicino alla vera essenza della creatività.
Riuscire a slegare dal concetto di “successo” il bisogno di guardarsi dentro e attorno e di raccontare in una forma qualunque ciò che si vede per come lo si vede, pensare di poter fare tutto questo senza il secondo fine della popolarità ad ogni costo, dovrebbe, col tempo, aiutare a smontare pezzo per pezzo le regole uniformanti di quell’industria che, in nome del business, delle copie vendute e della celebrità obbligatoria, finisce con l’incasellare e castrare dentro meccanismi precotti per nulla affini al concetto di evoluzione.
L’artista, l’intellettuale, le loro idee e le loro opere, non dovrebbero nulla a che fare con il mercato.
E chissà che la sovrappopolazione delle offerte, oltre che a creare una gran confusione e chiasso di fondo, non riesca, col tempo, a renderci tutti non-famosi, finalmente scevri dall’ossessione della celebrità e quindi, inevitabilmente, più veri.