I romanzi finiscono nel momento in cui l’eroe e l’eroina si sposano. Bisogna invece cominciare con ciò e finire quando i due si sono separati, e cioè liberati l’uno dell’altro. Descrivere la vita delle persone interrompendo il racconto nel momento del matrimonio, è lo stesso che descrivere un viaggio fermandosi al punto in cui il viaggiatore cade in mano ai briganti. (Lev Tolstoj)Anche oggi torno tardi dal lavoro. Una giornata pesante. Entro, non ho neanche voglia di…parlare! Ti saluto e penso “Beata te che non hai avuto niente da fare oggi!” – so che è il tuo periodo di ferie. Mi spoglio velocemente e mi infilo sotto la doccia. Acqua calda finalmente! Ci voleva, dopo una giornata così lunga è un piacere meritato. Uso quel bagnoschiuma che ho comprato l’altro giorno, quello al pino selvatico o come si chiama. Penso ai laboratori lì all’industria dei bagnoschiuma, dove menti ingegnose riescono a fabbricare questo liquido che dà l’idea di pizzicarti ogni poro della pelle: è una bella sensazione. Chiudo gli occhi, il getto della doccia mi investe nella mia totale nudità. Mi accarezzo il petto, la pancia,il pene, le natiche. Forse dovrei dimagrire. Ultimamente, da quando non vado più in palestra, ho messo su qualche chilo. Sì, ma il tempo per la palestra non si trova. Occorre lavorare, lavorare, portare a casa il frutto del sudore, fare sacrifici, costruire un futuro. Però…però forse un buco riesco a piazzarlo, magari subito dopo la pausa pranzo, quando si ha quell’ora di libertà, il giovedì. Sì, il giovedì parlo prima con il principale, e poi vado a informarmi in palestra. Mi sfrego sotto le ascelle e l’inguine. Questa sensazione di pulito è quanto mai benefica. Ti sento che armeggi fuori dal bagno. Vorrei chiederti cosa stai facendo, ma sono così stanco e preso dal piacere della doccia che decido di lasciar stare. Starai cercando un asciugamano o mettendo a posto la tua trousse. La dimentichi sempre in giro. Poi sento che vai via, appena prima che io esca dal vano doccia. Mi passo l’asciugamano sul corpo, lentamente. Per un istante rabbrividisco e mi guardo allo specchio. Sollevo un occhio, sollevo l’altro. Mi passo la mano sul volto. A quarant’anni non sono invecchiato male, malgrado lo stress. Mi sistemo rapidamente, non prima di aver curato le unghie del piede. Mi curo la barba, stamattina non avevo avuto il tempo per tagliarla. Nel giro di pochi minuti ho finito, mi spargo il viso con una crema idratante, indosso un paio di mutande, i pantaloncini, una maglietta e ti raggiungo al tavolo. Inizialmente non ci faccio caso. Me ne accorgo dopo che hai apparecchiato soltanto per una persona. “Hai già mangiato?” – ti chiedo. “No.” Ti guardo, perplesso. Noto che ti sei preparata per uscire. Vai un attimo di là e prendi il soprabito, lo indossi. “Stai uscendo?” “Non hai notato nulla?” – mi dici. Mi guardo intorno. La televisione sta trasmettendo il solito quiz. L’insalata ha il solito colore. In cucina tutto è normale. Tranne il tuo spremiagrumi al quale sei tanto affezionata. Manca lo spremiagrumi. “Sì, ora che ci faccio caso…manca lo spremiagrumi” – ti dico indicando un angolo dela cucina, un posto vuoto tra il bilanciere e la zuccheriera. “Bene.” – mi fai. Te ne vai all’ingresso. Ti seguo e vedo che sollevi due valige. Imbocchi la porta già aperta. Nemmeno ti volti. Ti guardo scendere i gradini e penso: “Avrebbero dovuto mettere un ascensore.” Mi richiudo la porta alle spalle. Solo allora realizzo che mancano le nostre fotografie, mancano le cose che ti ho regalato, alle pareti mancano i tuoi quadri, quelli che avevi dipinto da una vita. Tre anni di matrimonio buttati via così. La notte, quando vado a coricarmi, piango e poi quasi scoppio a ridere. Una risata isterica, sommessa, piana. “Lo spremiagrumi. Sono stato sposato con uno spremiagrumi”.
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