«Non mangerò mai niente che abbia avuto gli occhi»: tutto ebbe inizio da questa frase del dr. J. Kellogg, semplice ma di forte impatto emotivo.
Ho sempre avuto a cuore la salute e il benessere altrui, ma fino a pochi anni fa il mio mondo era abbastanza ristretto, chiuso a ciò che mi era noto o su cui avevo ricevuto un’educazione. Il primo passo verso questa conquista iniziò due anni fa. Cominciai a frequentare i banchetti organizzati dall’OIPA: vidi foto di animali vivisezionati, occhi languidi che guardavano il loro assassino con animo privo di speranza, ormai consapevoli di ciò che li attendeva… e lessi quella frase bianca, incisa su una maglia nera. Come non soffermarsi a riflettere?
Ogni volta tornavo a casa e sentivo che qualcosa in me stava cambiando. Era in corso un’evoluzione.
Cominciai a documentarmi, ricercando filmati e documentari sul più famoso motore di ricerca del World Wide Web. Venire a conoscenza di come vivono o, meglio, non vivono gli animali prima della loro macellazione, di cosa accade realmente nei mattatoi, vedere con i miei occhi il sangue grondante dalle gole incise degli agnelli o dei maiali, lasciati lì a morire, a testa in giù, per rendere la loro carne più bianca, è stato un forte colpo per me che credevo – nella mia ignoranza – che la realtà fosse ben diversa. Cominciai a capire che era possibile un cambiamento e che potevo esserne io l’artefice.
Acquistai subito un libro di Suzanne Havala, Essere vegetariani per negati. Mi si presentò innanzi un mondo totalmente ignoto. Soia, seitan, tofu, caglio, siero di latte: erano per me perfetti sconosciuti. Ma più leggevo e più capivo che quella strada era praticabile: bastava semplicemente un po’ di impegno, di cura nello scegliere i prodotti, di partecipazione reale alla propria vita, prima di tutto. Lessi non solo come rendere equilibrata e mai “noiosa” la propria alimentazione, ma anche come imparare a vivere e convivere con i più critici e meno aperti alle diverse scelte di ognuno.
Imparai che se ci si sente un po’ diversi e “in minoranza” è perché lo si è, ma che questo non deve costituire motivo di imbarazzo; che nessuno ha il diritto di criticarti per cosa scegli – con consapevolezza – di introdurre nel tuo corpo. Essere vegetariani non è soltanto una via per non far male agli altri esseri, ma innanzitutto un mezzo per far del bene a sé stessi, alla propria salute. E’ una scelta non-violenta, personale e collettiva. Capii che avrei dovuto camminare a testa alta, senza fare paragoni con gli altri perché «c’è sempre qualcuno più sano, più intelligente e più realizzato. Ci sarà senz’altro qualcuno più vegetariano di noi». Ma soprattutto capii che non dovevo giustificarmi o convincere “per forza” nessuno. Si può motivare la propria scelta, cercare di “aprire gli occhi” a chi vuole avviarsi verso questa possibilità, ma non c’è motivo di sentirsi in difficoltà di fronte alle domande altrui, spesso poste soltanto con la volontà di farti sentire “in colpa”, perché «pensi alla salvezza di un maiale, ma non a quella di una carota».
Essere vegetariani, per me, è sinonimo di impegno, rispetto, apertura, consapevolezza, salute, partecipazione, voler bene e volersi bene. Spesso, soprattutto chi vive in famiglia, si adagia e si accontenta di ciò che “la mamma o chi per lei” gli fa trovare nel piatto. Ma apportare un cambiamento nella proprie vite non è, in realtà, così arduo come può sembrare.
Personalmente, l’unico momento di panico lo ebbi quando dovetti comunicare la mia scelta a mia madre. Il primo giorno non mi rivolse la parola, poi provò a dissuardermi e a convincermi a mangiare “almeno il pesce” (cosa che accettai per qualche mese, prima di giungere al distacco da ogni tipo di carne e dagli alimenti che ne contenevano sotto altre forme). Dopo un pò, però, accettò la mia decisione: da allora la mia strada fu tutta in discesa. Al di là dei piccoli inconvenienti che si possono incontrare nel proprio percorso di vita – soprattutto di fronte a chi non è in grado di accettare le visioni differenti che ognuno ha della vita – oggi sono pienamente soddisfatta e convinta di questa scelta; scelta che non appena avrò una maggiore indipendenza emotiva ed economica, approderà di certo al veganesimo.
Se prima guardando una fetta di carne nel mio piatto non vedevo più “la fettina panata” ma gli occhi dell’animale implorante di far qualcosa per lui, oggi di fronte ad un piatto di lasagne vegetariane, ad un fetta di seitan, a un’insalata ricca di colori e sapori, mi sento bene, bene con me stessa, consapevole che ognuno, nel proprio piccolo, può far qualcosa se davvero lo vuole. E questa è la mia battaglia personale! :)