Laurent Joffrin
Imparare dal passato é tanto piú difficile, quanto piú lo si tende a dimenticare. Ma il passato ritorna perché la storia e ciclica. Lo diceva Machiavelli, ancor prima di Vico e pioniere fu Platone. Ci avevano avvertiti, che tutto torna, il problema è trovare una soluzione affinché tutto ció che torna… smetta di tornare.
Laurent Joffrin, editorialista del Nouvel Observateur, sostiene che bisognerebbe semplicemente imparare dagli errori. Ma la cosa non è cosí semplice, perché agli schemi semplificazionisti della storia si aggiungono di volta in volta delle piccole variabili, a volte microscopiche come il celebre battito di farfalla, che complicano a tal punto le cose fino a renderle poco discernibili. L’analisi da fare è semplice e poggia su basi note. Una vicenda qualsiasi fa scoppiare una crisi mondiale. Come nel 1929, anche oggi la crisi ha assunto proporzioni spaventose, tutti ne parlano, tutti ne temono gli effetti e le conseguenze.
Le istituzioni e le maggioranze politiche di molti paesi vengono rimesse in discussione. Nascono partiti antisistema, nazionalisti, protezionistici, parossistici e preoccupanti. Le élite del potere sono private della legittimità e sconfessate dal rifiuto dell’opinione pubblica. I toni delle battaglie e delle campagne si fanno aspri, nessuno sembra piú essere disposto a fare delle concessioni giacché la situazione è cosí grave da impedire ogni ponderazione o riflessione. Bisogna agire immediatamente, e tale azione, per fronteggiare l’inazione o l’inoperativitá passata, trova probabilmente sbocco nella forza.
La gente è stanca e accetta la forza e la compressione delle libertá, perché il suo potere di acquisto si erode un giorno dopo l’altro, incessantemente e i figli non trovano lavoro. Le tasse aumentano e i salari diminuiscono, mortificati da un’austeritá che sembrava temporanea ed eccezionale e che ormai fa parte del vissuto comune. La democrazia, si pensa, vale a poco se non si riesce a portare il pane in tavola. A sentire questa descrizione, i nostri bisnonni non si stupirebbero affatto. Loro hanno sperimentato queste condizioni di vita. E sanno bene cosa venne dopo: il totalitarismo, la guerra. Chi utilizza queste due parole, oggi, viene tacciato di essere il solito catastrofista o complottista, che dir si voglia.
Totalitarismo e guerra sono stati sradicati nel momento stesso in cui si sono poste le basi dell’Unione Europea. Un’organizzazione non internazionale ma sovranazionale, nata per superare quei conflitti secolari che avevano insanguinato valli europee accomunate dalle stesse tradizioni, eppure incarognite da beceri interessi dinastici o commerciali di contea.
La guerra cosí come la conobbero i nostri antenati forse non ci sará piú da noi. Ma chi ci assicura che non ci saranno altri tipi di guerra? Una guerra finanziaria, del resto, è giá in corso ed imperversa senza scrupoli, influenzando ciecamente le decisioni pubbliche a colpi di spread, downgrading e speculazioni. Il nazionalismo ideologico (precondizione del totalitarismo), nonostante esista l’Europa, o forse a causa del fallimento del progetto politico europeo, sta riprendendo piega. In Grecia è attivo un partito apertamente nazista. In Francia non smette di acquisire consensi il Front National di Marine Le Pen, che annusa Grillo e il M5S, «non-movimento” le cui posizioni sembrano talvolta toccare gli estremi. Baschi, catalani, scozzesi hanno ripreso con forza a chiedere la loro autonomia. Adesso anche il Belgio, se dovesse vincere il partito fiammingo, potrebbe a breve spaccarsi in due, fra Vallonia e Fiandre.
In breve, tutte queste circostanze concorrono al perdurare di un atmosfera angosciante senza immediata via di sbocco. Tirare una lezione dalla storia puó essere utile. Ma, per non ripiombare negli anni ’30, bisogna imparare a ragionare mutatis mutandis. Non siamo piú in un mondo caratterizzato da un fascio di relazioni bilaterali, fra Stati arroccati nella loro sovranitá. Abbiamo avuto la sagacia di creare delle entitá che potessero svolgere un ruolo superiore alle parti. Somma di tutti ma alfiere di nessuno.
La globalizzazione fa si che la crisi di uno diventi la crisi di tutti in metá, forse un terzo, del tempo di contagio passato. L’Unione dovrebbe fare la forza e il maiuscolo non è un refuso. Credere nell’Unione non significa pensare che l’Unione sia bella cosí com’é. Un Unione perfetta, infatti, non avrebbe lasciato Cipro affogare nel suo mare pernicioso, né avrebbe detto che le relazioni diplomatiche dell’Italia con l’India non hanno nulla a che vedere con le competenze europee.
La vera Unione dovrebbe essere quella capace di seguire una linea politica unica e coerente. Di studiare la storia con le sue variabili per dare una risposta concreta a questa maledetta crisi. Forse Lisbona avrebbe dovuto tenere fede alla lezione di Laeken. Chissá se un giorno non si possa rispolverare quel vecchio progetto di «Costituzione”.
Ylenia Citino