Torniamo alla fiction. Una delusione enorme. Per chi ama la montagna, per chi la frequenta, per chi ne conosce la storia.
La regia è improbabile, la sceneggiatura è imbarazzante, il cast è costruito malissimo (l’attore che interpreta il brianzolo Bonatti è siciliano) e le capacità attoriali e di doppiaggio sono ai limiti del ridicolo. Inoltre vengono aggiunti alla storia, tesa a rivelare al mondo una volta per tutte la verità su quella vicenda, elementi “di fantasia” (come specificato nei titoli di coda) assolutamente vergognosi! La moglie di Compagnoni arrabbiata perchè il marito alpinista se ne va per tre mesi, il giovane Bonatti che ama leggiadre donzelle nei fienili, un bambino pakistano che in un bazar ruba l’orologio a Puchoz (l’unico della spedizione che non torna a casa), lo stesso bambino pakistano che poi viene adottato da nientepocodimenoche Riccardo Cassin, la ragazza di Lacedelli che mentre lui è via si sposa con un altro, e poi ovviamente non manca il prete, perchè un po di sano cattolicesimo in una fiction Rai non può mai mancare…
Insomma il trionfo del cliche, del perbenismo, del radicalchic che imperversa nella cultura italiana. In montagna i valori sono altri: non c’è stato alcun tentativo per ricostruire una psicologia complessa e affascinante come quella dell’alpinista. E il soggetto era Bonatti! bastava leggere un suo libro per “capire”!
E vi assicuro che per rendere una storia “alpinistica” interessante e appetibile ad un pubblico poco avvezzo alle grandi altitudini non servono mezzucci tanto subdoli.
Basti pensare al film tedesco “Nord Wand”, che racconta la tragica morte di Toni Kurz nel tentativo di scalare la parte Nord del famigerato Eiger, con tanto di storia d’amore, questa volta trattata con delicatezza e intelligenza. Oppure “Nanga Parbat”, molto simile alla questione K2: anche la verità di Messner (sulla morte del fratello e sul raggiungimento stesso della cima) non era stata accettata per decenni! Un film impeccabile, senza fronzoli o invenzioni superflue: la vicenda è talmente coinvolgente e affascinante che è bastato raccontarla. Basandosi ovviamente e fedelmente sui libri e i resoconti del grande Reinhold.
Invece la Rai, con la scusa di rendere omaggio a Walter Bonatti, un uomo i cui valori e la cui essenza dovrebbero essere di ispirazione per tutti, hanno soltanto saputo usare la sua tragedia personale, una ferita che lo ha dilaniato per 50 anni, per costruirci sopra una favoletta da casalinghe, nè più nè meno come avrebbero reso Don Matteo o Un medico in Famiglia. Walter Bonatti merita rispetto, oppure il silenzio. Come in Montagna.