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NOTA CRITICA al romanzo: "Soltanto una vita" di Ninnj Di Stefano Busà, a cura di Sandro Angelucci

Da Lindapinta

L'ESORDIO IN NARRATIVA DI NINNJ DI STEFANO BUSĂ

In Soltanto una vita non è la trama che conta; sono le riflessioni di carattere filosofico-esistenziale, le conclusioni alle quali giungono - per l'autrice - i protagonisti, le esperienze che in loro maturano a creare l'intelaiatura che sostiene ciascuna vicenda. Sotto questo punto di vista, allora, la storia diventa - mi viene da dire - quasi un pretesto, una favorevole congiuntura perché possano essere indagate questioni da sempre presenti nella mente e nell'animo della misteriosa creatura uomo. Uno strumento di ricerca, dunque, che tenta l'universale tramite un processo induttivo (mi si passi il termine) che, una volta approdato al generale, non abbandona il particolare in quanto, esso stesso, espressione dell'assoluto. Così, gli episodi che si succedono di capitolo in capitolo altro non sono che manifestazioni della Vita, dei suoi alti e bassi, del suo naturale incedere: spesso contraddittorio, a volte (ma solo apparentemente) illogico, irrazionale, e però - o, meglio, proprio per questo - costantemente volto a tutelare il bene supremo che, in fin dei conti, è il miracolo più grande, ciò che perpetua l'esistenza stessa.

Mi sono dilungato perché mi piacerebbe che il lettore fosse orientato a recepire prioritariamente le implicazioni sottese alla storia più che lo stesso racconto; intendiamoci: non che la narrazione non abbia la sua importanza - lo stile, tra l'altro, possiede un timbro peculiare e piena padronanza dei mezzi espressivi - ma sono convinto che le pulsazioni provengono dal cuore, da tutto quello che dalla trama stilla come resina che cola lungo i rami.

"Credere nella vita / vuol dire accettare anche il peso del suo dolore: / la vita è la distanza tra il grido e la ferita.": con questo esergo la scrittrice apre, in un certo senso, l'opera. E come poteva chiuderla se non con un altro aforistico pensiero: "Siamo in fondo soltanto una vita, nient'altro". In mezzo, oltre duecento pagine, nelle quali ritrovarsi, nelle quali ognuno di noi, per traslato, può riconoscere - pur nella diversità - la propria storia.


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