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Numero identificativo: Europa sì, Italia no

Creato il 24 aprile 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La Polemica monta periodicamente: dotare o no gli agenti di Polizia impegnati in servizi di ordine pubblico di numero identificativo? 

Dopo ogni episodio di violenza ai danni di uno o più manifestanti da parte di membri delle forze di polizia, ci si indigna ed il mondo politico tuona in maniera più o meno uniforme contro i responsabili.
Le soluzioni non mancherebbero, prima fra tutte quella che consisterebbe nel dotare ogni agente di un casco – o di altri indumenti – contrassegnato in maniera chiara da un numero identificativo; la corrispondenza numero/agente, ovviamente, non sarebbe di dominio pubblico e vi potrebbero risalire solamente le stesse forze dell’ordine o l’autorità giudiziaria, chiamata ad investigare in caso di comportamenti inappropriati.
Eppure l’iter legislativo che potrebbe risolvere questa situazione non parte: nel tempo decine di disegni o proposte di legge sono stati avanzati da PD, Sel e Movimento 5 Stelle, ma la maggior parte sono finiti arenati nelle varie commissioni parlamentari.

In Europa la situazione é variegata; in FranciaOlanda e Belgio, almeno per quanto gli agenti che si occupano di ordine pubblico, vi é l’obbligo di esporre in maniera visibile il numero identificativo. Nella République, addirittura, per chi tenta di nascondere il codice scattano sanzioni disciplinari; il tutto rientra in un’ottica di riavvicinamento tra polizia e cittadini fortemente voluta dal primo ministro Valls.
Nel Regno Unito ed in Germania la situazione é leggermente diversa: oltre alle forze dell’ordine federali, infatti, vi é un corpo di polizia per ogni entità amministrativa in cui lo stato é diviso – le “nazioni costitutive”, divise in contee, nel primo caso, i “Länder” nel secondo – e non esiste un regolamento unico; di conseguenza, in alcune parti del Regno Unito vi é l’obbligo di mostrare il numero identificativo, in altre no; lo stesso discorso vale per la Germania.
Anche in Spagna la situazione cambia da stato a stato: i mossos d’esquadra, i poliziotti operanti in Catalogna, da qualche anno sono tenuti a esibire in maniera chiara un numero identificativo composto da nove caratteri, come anche la Polizia Nazionale e la Guardia Civil; numerose, però, sono state le segnalazioni di tentativi di occultamento del codice di riconoscimento.
Pure la Grecia, negli ultimi anni lacerata da tensioni sociali fortissime, seguite da violente manifestazioni di piazza, ha introdotto l’utilizzo del numero identificativo; solamente i funzionari d’alto livello non sono tenuti a rendersi identificabili.

Numero identificativo: chi si oppone in Italia?

Abbiamo visto come a livello europeo la legislazione sia decisamente più avanzata rispetto all’Italia.
Chi sono, allora, i principali oppositori per quanto riguarda l’introduzione di una normativa riguardo il numero identificativo?

Gran parte dei sindacati di polizia, sicuramente: il Sap – i cui segretario e sottosegretario della sezione emiliana applaudirono gli agenti accusati dell’omicidio di Federico Aldrovandi – si é sempre schierato contro, mentre il Siulp sostiene che il numero identificativo non contribuisca a risolvere i problemi di ordine pubblico e ha manifestato la propria disponibilità circa la possibilità di identificare non il singolo agente, ma solamente il reparto di appartenenza; il Silp per la Cgil ha manifestato i propri dubbi. Solamente alcuni membri del Siap – ad esempio il segretario generale provinciale di Piacenza, Sergio Chiaravallotti – si sono dichiarati favorevoli, invece.
Anche parte del mondo politico di numero identificativo non vuol sentir parlarne: la maggior parte dei parlamentari di Forza Italia e Lega Nord si sono o schierati contro o non espressi; il ministro Alfano più che identificare i poliziotti vorrebbe “identificare i manifestanti”.
La principale critica che viene mossa riguardo l’introduzione del numero identificativo pone l’accento sulla possibilità che vengano inventate denunce ai danni degli agenti di polizia; per questo motivo in molti hanno notato che una proposta migliore sarebbe quella di dotare ogni agente, oltre al codice identificativo, di una piccola telecamera indossabile – la sperimentazione é già iniziata in alcune città – evitando, così, comportamenti scorretti da parte dei manifestanti.

Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza: chi si occupa dell’ordine pubblico?

Da un punto di vista formale, “reparti celeri” e “celerini” non esistono più dai primi anni ’80; con la smilitarizzazione della Polizia e la trasformazione in corpo ad ordinamento civile, vennero istituiti i Reparti Mobili, principali responsabili per l’ordine pubblico e con sedi in tutto il territorio nazionale.
Tuttavia questo compito é condiviso anche dai Carabinieri, che concorrono con le Brigate Mobili, e, in caso di necessità, dalla Guardia di Finanza, che dispone dei cosiddetti “Baschi Verdi”, afferenti alle unità ATPI (Antiterrorismo Pronto Impiego).
Gli agenti impiegati nei servizi di ordine pubblico, in virtù dei maggiori rischi che corrono per la propria incolumità, ricevono un trattamento economico migliore; per questo motivo ogni anno le richieste di trasferimento presso i Reparti Mobili sono più numerose rispetto a quelle verso altri reparti (squadra mobile, squadra volante, vari uffici delle questure).

Perché sarebbe necessario il numero identificativo?

Se in Italia la gestione dell’ordine pubblico fosse sempre stata corretta, non vi sarebbe nemmeno da aprire una discussione sul numero identificativo.
Tuttavia negli anni la scarsa attitudine a garantire il regolare svolgimento di manifestazioni – politiche e sportive – che potenzialmente avrebbero potuto degenerare, é stata più volte confermata: a il G8 di Genova nel 2001, con le violenze di Bolzaneto ed il massacro della Diaz, definito “la più grave sospensione dei diriti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” – secondo l’ormai famosa definizione di Amnesty International – fu il caso più eclatante.
Per quanto riguarda i tempi recenti, vale la pena ricordare le numerose manifestazioni studentesche o dei movimenti sociali svoltesi a Roma e puntualmente degenerate in guerriglia, gli scontri avvenuti a Chiomonte nell’ambito delle manifestazioni “No Tav” nel luglio 2011, oppure il famoso “cretino da identificare” – questi i temini con cui il capo della Polizia, Alessandro Pansa, definì il funzionario che calpestò una ragazza a Roma nell’aprile 2014, in occasione della manifestazione dei cosiddetti “Movimenti di Lotta per la Casa”.

L’introduzione del numero identificativo e di un’apposita telecamera per ogni agente, quindi, sarebbe una decisione auspicabile, che non vorrebbe affatto avere una valenza punitiva nei confronti delle migliaia di membri delle forze di polizia che quotidianamente servono lealmente lo Stato, ma eviterebbe, piuttosto, generalizzazioni negative a seguito di abusi di potere da parte di singole persone.

Tags:alfano,manifestazioni,numero,polizia,sindacati

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