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Nuova infornata di racconti - Olfatto

Creato il 10 aprile 2014 da Zioscriba

OLFATTO
Dicono che i cani vivano in un mondo di odori. Che ne “vedano” le gamme come noi lo spettro dei colori. Un cane senza olfatto è come un uomo cieco. A me dell’olfatto importa poco: è forse il senso a cui dedico meno attenzione, anche se naturalmente cerco di evitare i tanfi e i miasmi e mi piacciono molto i profumi, specie quelli dei fiori e di certi manicaretti, e le essenze dolci e fruttate che si mettono sul corpo le donne, e qualche volta i maschi più coraggiosi tipo me (ma che siano due gocce: impestare l’aria dovrebbe essere reato, anche se il profumo è buono). Invece mi ripugnano quei profumacci pungenti dei dopobarba machoidi, quelli che i conformisti si sbattono in faccia a badilate ogni santo giorno per ribadire al mondo che hanno il cazzo. (Ho appena letto di uno psicociarlatano omofobo, uno strizzaportafogli macaco e cialtrone, che definisce l’avere il cazzo “natural design”).
In quel mio sabato mattina castelpretano da messo notificatore, ero reduce da una disavventura di tipo uditivo. Una vecchia al citofono. “Cu è?” “Esattoria!” Lunga pausa. “Quale sartoria?!” “Esattoria, signora”. Pausa ancora più lunga. “Cu è ‘sta sattoria?” “Ho una cartella per il signor…” “Non ne compriamo cartelle. Vadi via! Chiamo i carabbegneri!” “Le lascio un avviso nella cassetta della posta”, taglio corto, sperando che almeno il marito sia alfabetizzato. Non lo dico per esagerazione o cattiveria. Questo lavoro increscioso mi ci ha fatto cozzare più volte, contro la tragedia dell’analfabetismo. Gli analfabeti del passato ti fanno pena. Perché non è colpa loro e perché gli dispiace, se ne vergognano come ladri, ‘sti poveri vecchietti, quasi sempre immigrati del sud. A differenza dei misalfabeti del futuro, che l’avranno voluto loro e se ne vanteranno pure, e ti verrà solo voglia di prenderli a calci, questi qui ti fanno una tenerezza infinita. La cosa li mortifica a tal punto che nel chiedere se possono fare la crocetta al posto della firma non ti dicono “non so scrivere”. Dicono tutti “ho rotto gli occhiali”. Poi fanno la crocetta, come nei film. E a te ti si rompe qualcosa dentro. Ti viene da piangere. Pensare che basterebbe la piccola malizia di inventarsi uno scarabocchio leggermente più elaborato, di una maledetta crocetta, e non se ne accorgerebbe nessuno. Possibile che non glielo dicano? Non posso certo dirglielo io. Ha detto di aver rotto gli occhiali, non di essere analfabeta. Se insinuo che è analfabeta, magari mi spacca la testa.
Ma torniamo alle cose olfattive. Ho tenuto per ultimo un avviso di mora da notificare in via X, al quarto piano di una palazzina. Mi sono accorto dal nome che si tratta di un mio vecchio allenatore di calcio. Stiamo parlando di quando avevo dodici o tredici anni. Adesso ne ho quasi trenta. Non si ricorderà di me: l’ho avuto per poco e non abbiamo fatto comunella, non siamo diventati amici. Però lo ricordo con simpatia: era un bravuomo, e tecnicamente non era un somaro. Magari invece di offrirmi da bere e chicchierare di calcio s’incazza pure per l’avviso di mora. Ma non credo: è una cifra irrisoria, quegli interessi minuscoli frutto di una burocrazia che prende per il culo la gente, e non è colpa mia: io sono una specie di postino, e per un mese soltanto.Tutto inutile. Il mio vecchio allenatore non c’è. In casa trovo solo la moglie. Viene ad aprirmi questa bionda piuttosto carina e giovanile. Ma la possibile invidia per il mio ex allenatore si spegne nel giro di mezzo secondo, per trasformarsi in compassione: la moglie è una puzzola. Vengo assalito da un’insostenibile zaffata di puzza d’ascelle, mentre la moglie puzzola dell’allenatore di calcio mi invita, senza troppa gentilezza, a entrare. Difficile dare l’idea: lì dentro non esiste nient’altro che puzza d’ascelle. È il dominio, il regno, l’impero, di sua maestà la Puzza d’Ascelle. L’appartamento ne è impregnato, inzuppato, contaminato. L’attaccapanni puzza d’ascelle. Il pavimento puzza d’ascelle. Il lampadario puzza d’ascelle. Le piante in vaso, che immagini agonizzanti, puzzano d’ascelle. I libri sugli scaffali puzzano d’ascelle. I pesciolini colorati nell’acquario non puzzano di pesce, ma d’ascelle. A lei deve sembrare una cosa normale. Non è imbarazzata. Non mi dice: mi scusi, ho appena fatto ginnastica, o spostato mobili, e stavo per buttarmi sotto la doccia. Niente di tutto questo: si limita a puzzare e basta. Le ghiandole sudorifere rendono un incubo la vita di questa donna e del marito. E, in questo momento, la mia. Sul viso della puzzola non si scorge traccia di sorrisi, e il suo fare non è ostile ma nemmeno cortese. Sembra una persona scontrosa. Ti domandi se sia diventata scontrosa perché puzza, o se puzzi perché è scontrosa. Ti domandi anche, interdetto, se non esistano rimedi. Come può l’allenatore di calcio sopportare di vivere così? Non hanno cercato un superdeodorante atomico, una medicina, una cura, un luminare, un miracolo? Come può non divorziare per causa di forza maggiore, anche se lei è bella e lui di certo l’ama?
Mentre la moglie puzzola dell’allenatore di calcio mette la firma sull’avviso di mora, da cui poi strapperò il talloncino che mi farà puzzare la cartelletta, la macchina, la casa, i miei occhi disperati vagano per il salone in cerca di finestre, e intanto mi chiedo se il rischio più concreto sia vomitare o svenire. Le finestre sono chiuse. Mi gira la testa. Coraggio, devo resistere. Fra un po' sarò fuori. Ma come fanno quei maledetti vetri a restare sigillati? Non dovrebbero spalancarsi da soli, in un impeto di ribellione?A un tratto mi assale il pensiero che all’allenatore di calcio non sia mai fregato un accidente di istruire ragazzini scarsamente dotati a tirar calci a un pallone. L’allenatore di calcio ha bisogno di aria.

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