“Dal Parlamento, e dal Pd in particolare, il nuovo governo dovrà avere tutto il sostegno e l’aiuto possibile”. Sono parole scelte con cura, quelle di Marina Sereni, vice presidente della Camera. Che subito dopo il giuramento dell’esecutivo, ma ancora prima del freddissimo passaggio di consegne tra Letta e Renzi, rivolge un messaggio preciso ai suoi compagni di partito. I commenti di alleati e oppositori non tardano ad arrivare. Anzi, qualcuno precede il giuramento. Come quello di Pier Ferdinando Casini, che parla di una squadra giovane, ben assortita e motivata, ma non rinuncia a una stoccata rivolta al Cavaliere, spiegando che l’esecutivo dovrà risolvere i problemi del Paese e non quelli “di qualche uomo politico”.
Ed è proprio Berlusconi a tornare sulle riforme “necessarie”: la madre di tutte è quella della legge elettorale, scandisce, l’unica in grado di “raddrizzare il chiodo storto su cui sta appeso questo governo, senza voto popolare”. Sferzante il commento di Beppe Grillo: siamo a una versione “sordida e surreale” degli ultimi giorni di Pompei, scrive sul suo blog, e basterebbe “un soffio di democrazia” per far venire giù tutto. Gli assetti sono dunque già chiari, e Forza Italia, Lega, 5stelle, Fratelli d’Italia e Sel promettono un’opposizione senza sconti (con il distinguo dei forzisti, che assicurano un atteggiamento “responsabile”).
Qualche insidia per il presidente del Consiglio potrebbe arrivare anche dagli alleati (Nuovo centrodestra e Per l’Italia chiedono garanzie sulla durata dell’esecutivo) e dal cosiddetto fuoco amico (i civatiani ipotizzano, per bocca di Corradino Mineo, un nuovo centrosinistra). Il redde rationem inizierà con il voto di fiducia, lunedì al Senato (dove i numeri sono incerti). Il giorno dopo Renzi sarà alla Camera, dove invece i democratici possono contare sul premio concesso dal Porcellum. Proprio la legge che tutti, almeno a parole, dicono di voler cambiare.
Marco Cecchini