Al Palazzo di Giustizia di Milano è iniziata l’udienza preliminare a carico di Pierpaolo Brega Massone e di altre 12 persone, accusate, a vario titolo, anche di quattro omicidi di altrettanti pazienti avvenuti in quella che è stata soprannominata la clinica degli orrori: la Santa Rita di Milano. Brega Massone è già stato condannato, nel processo Santa Rita, a 15 anni e mezzo di carcere. Il nuovo procedimento nasce da uno stralcio dell’inchiesta. In questa nuova tranche il chirurgo è accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà per quattro pazienti e di 46 lesioni gravi per interventi abnormi e inutili. Prima di entrare in carcere, nel maggio 2010, Brega Massone parlò con Alessandra Gavazzi. Ecco che cosa disse allora e che uscì in un articolo su Gente.
Il nome di Pierpaolo Brega Massone è legato a uno degli scandali più traumatici che ha colpito il mondo della sanità negli ultimi anni. Brega Massone era il chirurgo della clinica Santa Rita di Milano accusato di aver fatto interventi chirurgici non necessari (provocando anche la morte di pazienti) per gonfiare i rimborsi del sistema sanitario nazionale. Ieri, durante il processo in corso a Milano, l’Ordine dei medici, costiituitosi parte civile, ha definito Brega Massone un “lucifero” e ha chiesto un risarcimento di 3 milioni di euro. La procura ha chiesto per il chirurgo una condanna a 21 anni di reclusione.
Ora Brega Massone è in cella. Prima di rientrare in carcere ha parlato con una brava giornalista, Alessandra Gavazzi. Ecco l’intervista:
«La medicina non è la matematica. Esistono vari approcci, varie visioni per la cura del paziente. Ma le accuse che mi sono state rivolte sono basate su dati parziali: solo sulle cartelle cliniche, senza contare né la storia del paziente e le valutazione del medico. Le perizie della procura sono state fatte senza visitare dal vivo un solo soggetto, senza avere in mano una TC. Mi si accusa di aver avuto fretta di operare i pazienti. Ebbene, si trattava di interventi programmati e di malati che si presentavano in clinica già con tutti gli accertamenti del caso. Dunque, non c’era motivo per aspettare perché era necessario conoscere la diagnosi per valutarne l’approccio terapeutico».
E’combattivo, il dottor Pier Paolo Brega Massone. Ex primario di Chirurgia Toracica del Santa Rita di Milano, assurta agli onori della cronaca come sospettata “clinica degli orrori”, è il grande imputato del processo che ha investito la sanità lombarda nel 2008. La sentenza arriverà tra qualche settimana, ma nel frattempo lui ha già scontato 17 mesi di custodia cautelare in carcere a San Vittore, tra giugno 2008 e novembre 2009. Accusato di lesioni volontarie e truffa, oltre che di aver procurato la morte a quattro dei suoi pazienti, ci ha ricevuti nella sua casa di Pavia. Per difendersi e per raccontare com’è cambiata la sua vita da quando, da rispettato primario, è diventato un “mostro” capace di sottoporre ottanta pazienti a operazioni inutili pur di ottenere il rimborso economico dalla Regione. «A difendermi basta l’autorevole parere dei colleghi che ho voluto come periti di parte: Franco Giampaglia, ex presidente della Società Italiana di Chirurgia Toracia e attuale Past-president, e Ludwig Lampl, Direttore della Chirurgia Toracica di Monaco di Baviera e autorevole membro delle Società Europee di Chirurgia Toracica. Hanno analizzato caso per caso. E ognuna di quelle situazioni trovava sostegno nella letteratura scientifica internazionale: ognuno di quegli interventi andava fatto, nessuno di loro mi ha detto “io non avrei agito così”».
Quando il caso scoppiò, le cronache parlarono di inutili asportazioni di polmoni. «Parlare di resezione dell’intero organo è una strumentalizzazione. Ho asportato dei noduli, questo sì. Ma sempre a fine diagnostico o curativo. Mi si contesta di aver operato patologie curabili coi farmaci. E’ ovvio che la polmonite non si opera. Ma in certi pazienti può comportare l’insorgere di noduli polmonari. A quel punto il medico deve stabilire l’origine di quelle formazioni e la diagnosi differenziale è difficoltosa, magari un tumore. Ci vuole la biopsia pertanto un intervento per stabilirlo. Ma se questo esame dà esito negativo, accertando che il paziente è affetto da una patologia meno grave del previsto, si può forse dire che il chirurgo ha eseguito una procedura inutile? Cosa comporterebbe per il paziente se il nodulo nascondesse il tumore e noi non ottenessimo una diagnosi sicura? In altri, invece, la ragione dell’intervento è la complicanza della polmonite e cioè l’empiema pleurico, e la toilette e la decorticazione si impongono. Anche i 4 casi di tubercolosi erano dubbi. Sono arrivati da me senza una diagnosi. Li ho portati in sala operatoria solo per accertamenti e solo grazie a questi esami hanno potuto curarsi».
Dissero che aveva asportato un seno a una 18 enne perfettamente sana, ipotizzando un tumore. «Assolutamente falso. Le ho tolto un nodulo di due centimetri, che poi si è rivelato un fibro-adenoma benigno. La mammella è integra, simmetrica e senza alcuna cicatrice visibile. Questi rilievi, tra l’altro, non sono miei: sono del medico legale di parte della ragazza». Le accuse più gravi comunque sono per omicidio volontario. «Si trattava di 4 pazienti gravemente ammalati, alcuni sono deceduti subito dopo gli interventi palliativi cui li avevo sottoposti per alleviare le loro sofferenze, come impone la Comunità scientifica.. Ma è stata purtroppo la malattia ad uccidere quelle persone, facendo il proprio decorso certo non io».
Tutto il cosiddetto “scandalo Santa Rita” sarebbe in qualche modo legato ai DRG, cioè al sistema di rimborsi che la regione fornisce alle strutture private. Lei, dottore, aveva una retribuzione che si basava sul numero di interventi eseguiti. Un metodo poco trasparente? «Non si tratta di una libera scelta, quanto più di un’imposizione del mio contratto di assunzione. Potendo scegliere, io avrei optato certo per la tranquillità di uno stipendio fisso, piuttosto che un “salario a cottimo”. Si tratta poi di un’arma a doppio taglio, che faceva più comodo all’amministrazione che a noi medici». In che senso? «L’equipe medica, composta da 3 o 4 elementi, prendeva un rimborso pari al 9 per cento lordo per ogni intervento. Dunque il 91 per cento rimaneva alla clinica. Ogni paziente senologica “rendeva” alla equipe di chirurgia toracica circa 170 euro circa. Nei 33 mesi che mi sono stati contestati, ho operato 450 pazienti circa. Se avessi anche voluto lucrare facendo interventi inutili su 80 di loro, avrei ricavato con questo sistema al massimo circa 700 euro lorde mensili. Secondo lei un primario rischia di rovinarsi la carriera (e incorrere in gravi accuse) per così poco?»
Ma non è solo la reputazione compromessa a preoccupare il dottor Brega Massone. «Ci sono quei 17 mesi di carcere che ho già fatto, che hanno provato la mia famiglia e mi hanno indubbiamente reso difficile la difesa, la produzione di perizie e memoriali utili. Mia moglie, poi, ha dovuto affrontare, sola con la nostra bambina di 6 anni, un clima di accuse infamanti. Cosa mi ha aiutato? Il sostegno (della mia famiglia e) dei tantissimi pazienti che mi scrivevano per esprimere solidarietà, oltre centinaia di lettere ricevute». E ora, come lo vede il futuro? «Si vive giorno per giorno. Io intanto mi sono autosospeso dall’Ordine dei Medici. Perché mi sembrava corretto aspettare la sentenza. E poi perché sarebbe assurdo continuare a esercitare con queste accuse sulle spalle: chi verrebbe a farsi operare da me? Quello che mi sento di dire è che non ho mai ricevuto denunce o querele da nessun mio paziente, prima del clamore suscitato dall’inchiesta. Tutti i processi per malasanità partono dalla protesta della parte lesa. Il mio no. E io sono sicuro di aver sempre agito secondo scienza e coscienza».