A differenza del marxismo tradizionale, con la sua teoria evoluzionista che parla di stadi successivi dei "modi di produzione",e a differenza di economisti come Kenneth Pomeranz, con il suo concetto trans-storico di "lavoro", la "critica del valore" pensa il capitalismo nei termini di una rottura violenta con le società pre-capitaliste. Come sostiene Robert Kurz, appoggiandosi al concetto di "rivoluzione militare" di Geoffrey Parker, il "big bang della modernità" è stata l'invenzione delle armi da fuoco, le quali hanno avuto delle conseguenze sociali gigantesche tra il 14° ed il 17°secolo, permettendo - seppur in maniera non volontaria - che il lavoro astratto (merci, denaro ...) facesse emergere una nuova forma di sintesi sociale. Il denaro, il lavoro, il mondo delle merci, sono forme sociali e categorie storicamente specifiche del capitalismo, che è assai più di un modo di produzione, o un'infrastruttura. Esso costituisce una forma di vita sociale feticista, dove l'inversione reale tra i soggetti e gli oggetti è la sua religione quotidiana. La "critica del valore" si è sempre fortemente appoggiata alle tesi dello storico francese Jacques Le Goff, soprattutto su quella che parla dell'irrilevanza del concetto di denaro quando si parla del Medio Evo, e dell'inesistenza del capitalismo in questo periodo. Si trova, in Le Goff e negli storici cui egli si appoggia (Bartolomé Clavero, Anita Guerreau-Jalabert), un materiale storico fruttuoso e pertinente, per continuare l'analisi dell'emergenza della forma di vita capitalista.
Più sotto, una recensione di Clément Homs del libro di Le Goff, "Il medioevo ed il denaro" (Lo sterco del diavolo: il denaro nel Medioevo, Laterza, Roma - Bari 2010), apparsa sulla rivista francese "Uscire dall'economia":
Un libro a tesi, ma soprattutto un libro che riprende gli ultimi contributi della storiografia, a proposito della questione, con un'apertura verso la storiografia straniera, la quale è molto interessante, soprattutto quando non è specialistica sul Medio Evo. Anche un libro che non sembra del tutto finito, riletto e limato, perché a volte dà l'impressione che i capitoli siano mal suddivisi, nel senso che non ci sono delle vere e proprie delimitazioni. Non faccio qui la sintesi dei materiali storici che l'autore utilizza per tutto il suo libro, ciò sarebbe impossibile o molto noioso; vado subito al cuore della sua tesi principale, al suo punto di arrivo, riassumendo i capitoli conclusivi.
Le Goff distingue nettamente la storiografia francese, che si colloca nell'interpretazione di Karl Polanyi, dalla storiografia anglosassone (vista anche nel suo attuale risveglio, "la storia globale" di Kenneth Pomeranz, Philippe Norel, ecc.) che ai suoi occhi non si trattiene dall'infilare un anacronismo dopo l'altro, parlando di "mercato della terra", dell'esistenza del "denaro”, o perfino della nascita del capitalismo nel Medio Evo. Le Goff ci tiene a sottolineare che, da lui in poi, la storiografia si è tenuta rigorosamente distante dalla tesi di Fernand Braudel, secondo la quale il capitalismo sarebbe emerso nel 12° secolo in Italia, e a partire dal 13° secolo in Francia: per lui e per la maggioranza degli storici è un completo anacronismo (anche Immanuel Wallerstein, discepolo di Braudel, ha lascato cadere quest'idea). Le tesi di Marx e di Weber, hanno ai suoi occhi il merito di aver lasciato fuori il Medio Evo, dalle origini della società capitalista. Per Marx, come per Weber, si sa che il capitalismo si impone fra il 16° ed il 19° secolo. Per Le Goff, il Medio Evo non si trova alle origini del capitalismo, e l'attività delle persone nel Medio Evo non ha niente del carattere proto-capitalista che gli viene attribuito (per esempio, al contrario di quanto scrive Todeschini, nel suo libro "Ricchezza francescana", Le Goff pensa che sia un anacronismo dire che esista un pensiero economico virtuale presso i francescani o presso gli scolastici).
Per Le Goff, non possiamo impiantare la nostra visione moderna del denaro su quello che si continua a chiamare, a torto, "il denaro" nel Medio Evo (parlare di "denaro" nel Medio Evo; perfino il titolo è un anacronismo, come dice il suo autore, ed è stato scelto in funzione delle regole editoriali). Il denaro nel Medio Evo chiaramente non è un'entità economica, la sua natura ed il suo utilizzo ne rilevano piuttosto la concezione non-economica (1). Non vi è nessuna traccia nelle fonti storiche del concetto di "denaro" in quanto forma monetaria della ricchezza. Il "denaro" si limita alla moneta(non esiste la parola "denaro" nelle fonti, i testi parlano sempre di questa o quella particolare moneta). Gli storici dell'usura medievale, a causa della loro fascinazione per il capitalismo, hanno la tendenza ad impiantare delle categorie moderne che possano loro servire da griglia di lettura per interpretare le fonti medievali. Lo storico insiste sull'importanza, nel Medio Evo, di un'economia della salvezza (Weber) e del dono, a causa del dominio della religione (questa tesi del dominio della religione è stata contestata da alcuni storici), così come pensava Polanyi. A questa tesi va unita quella di Maurice Godelier, sulla preminenza dei rapporti politico-religiosi nelle formazioni sociali non-capitaliste (2). La virtù suprema è perciò la "caritas", un valore sociale che comprende anche l'amicizia e l'amore, ma che soprattutto, in quest'epoca, costituisce il legame sociale fra Dio e gli uomini. E' la chiave fondamentale per capire senza anacronismi il Medio Evo, cioè a dire senza gli anacronismi della storiografia anglosassone che retro-proietta in modo universale le categorie capitaliste, sui nuclei sociali delle passate formazioni sociali. Facendo riferimento alla storica Guerreau-Jalabert, che gli sembra abbia già detto tutto, Le Goff riprende l'idea che "la diffusione della moneta nel Medio Evo deve essere vista come un allargamento del dono". Guerreau-Jalabert afferma che bisogna vedere il commercio e l'industria materiale come fermamente inglobati "in un sistema di valori che è sempre sottomesso alla caritas" e che tale attività non esistono nel modo in cui esisteranno nella società moderna. C'è sempre questo nucleo fondamentale dei rapporti sociali, nel Medio Evo, che riporta sempre alla "caritas".
Così la banca è "una pratica di frontiera", e tutte le banche del Medio Evo falliscono spesso a causa del radicamento sociale in cui operano (si conosce la sorte dei Bardi, dei Peruzzi, ecc.). Ogni volta, "la liquidità viene messa al servizio della comunicazione dei beni, che sono espressione della caritas", spiega Bartolomé Clavero. Le Goff, nelle sue tesi precedenti, a proposito dell'esistenza di un "lungo Medio Evo" che sconfina sul 16° e 17° secolo, pensava effettivamente che è solo nel 18° secolo che viene inventato il concetto di economia, e quello che le si accompagna. Si appoggia, per questo, sul libro di Clavero, "La grâce du don. Anthropologie catholique de l'économie moderne", per dimostrare che né il diritto, né l'economia, esistevano, in quanto tali, nel Medio Evo (3).
NOTE:
(1) - Su squesto tema, si può anche fare riferimento a "Les origines de la monnaie", a cura di Alain Testart; a "Anthropologie économique" di Francis Dupuy; per la questione delle origini sociali non economiche della moneta, si può vedere anche Castoriadis e Latouche.
(2) - Vedere Maurice Godelier - "Au fondement des sociétés humaines".
(3) Per dei punti di vista simili a quelli di Le Goff, si può vedere Jérôme Baschet, "La civilisation féodale. De l’an mil à la colonisation de l’Amérique".