Ernesto Mahieux è un bravissimo attore di teatro e di cinema. Dopo anni di gavetta, è riuscito ad imporsi sul grande schermo con il ruolo da protagonista ne L’Imbalsamatore di Matteo Garrone. Quest’anno, reduce dal successo della tournee della trasposizione teatrale di Gomorra, lo troviamo protagonista in tre film di giovani registi emergenti.
Oggi al Cinema lo ha intervistato per voi.
Dopo anni di gavetta, nel 2002 il ruolo da protagonista ne L’Imbalsamatore le è valso il David di Donatello. Il suo era un personaggio difficile, cosa le ha lasciato sia a livello umano che professionale?
A livello umano non mi ha dato niente perché si trattava di un essere infelice alla ricerca del bellezza, si cui madre natura lo aveva privato. L’Imbalsamatore mi ha dato l’opportunità di dare una prova d’attore in un ruolo lontanissimo da me. Ne serbo un ricordo bellissimo anche rispetto a tutte le soddisfazioni che mi ha fruttato, premi, applausi e un successo a Cannes indimenticabile oltre al David di Donatello, e la nomination ai Nastri. Se ancora oggi mi chiamano per lavorare al cinema e per rilasciare delle interviste lo devo all’Imbalsamatore perché fino a quel momento non dico che i miei 36 anni di teatro fossero passati inosservati ma certamente non godevo di questa notorietà.
Qual è stata la differenza tra lavorare al fianco di registi importanti del passato come Ettore Scola e di registi più giovani ma promettenti come Matteo Garrone?
La differenza è tantissima. Con Ettore Scola (nel film Maccheroni n.d.r.) è stata per me una scuola perché ho avuto l’onore di recitare al fianco di attori di fama internazionale come Mastroianni e Jack Lemmon. I metodi di lavorazione dei registi sono completamenti diversi ma oggi è cambiato tutto il sistema cinematografico. Prima per girare un film erano necessari 6/8 mesi, l’Imbalsamatore che è stato girato in 8 settimane è quanto dire. Oggi i film si girano in 4 settimane, sei fortunato se arrivi a 5 o 6 tranne Nanni Moretti e qualchedun altro che hanno un budget meno limitato. I registi di una volta lavoravano con lo storyboard che oggi è scomparso, e avevano le idee chiare sui personaggi che volevano raccontare. Oggi si inventa al momento sul set, si improvvisa molto di più.
Cosa l’affascinava maggiormente e cosa l’affascina ancora oggi del suo mestiere?
Mi affascina tutto ma il teatro rimane il mio primo amore perché quello che ti trasmette è insostituibile. Il cinema ti fa guadagnare qualche soldino in più anche se oggi i soldini si sono trasformati in centesimi in più! Il teatro ti dà un senso di familiarità poichè vivi a contatto con i tuoi colleghi per mesi di tournee e di prove. Oggi tutto si è snellito, i 6/8 mesi di tournee si sono dimezzati. Basti pensare che al cinema si fanno film con attori con i quali spesso non si condivide il set neanche mezza volta perché usano controcampi e attori di appoggio. Forse è per questo che amo molto di più il calore del teatro, sebbene si tratti di un pubblico più ristretto.
Data la sua esperienza sia al cinema che a teatro, qual è il suo pensiero circa la crisi del settore in Italia, di chi è la responsabilità?
La responsabilità è di tutti. Basti pensare che il film di Siani, che io non voglio né contestare né giudicare, ha incassato tantissimi milioni al botteghino. Le multisale erano stracolme con delle file interminabili. La Migliore Offerta di Tornatore, che io trovo eccezionale, è stato una settimana e non si è visto più. Django di Tarantino, che è vero cinema, è stato 20 giorni nelle sale ma non di più quando invece il film di Siani e tutte le altre stronzate sono in cima alle classifiche degli incassi. Io capisco la crisi, la voglia di evadere, di ridere ma cerchiamo di ridere in maniera sana. Questi film sono tutti siparietti, un collage di battute e niente più. Se vai a vedere La Migliore Offerta, mettiamo anche che non ti piaccia, ti fai un bagno d’arte e torni a casa arricchito.
La commedia napoletana 30 anni fa era personificata dalla gentilezza di Massimo Troisi, cosa crede che sia cambiato nella rappresentazione della napoletaneità?
E’ cambiato tutto. I film di Troisi erano poetici, c’era la Napoli vera degli anni ’80 perché Troisi stesso era spontaneo, pulito, colto. Quella era la Napoli di cui mi sentivo di fare parte come la Napoli di De Simone, di De Crescenzo, di De Filippo, di Daniele. La Napoli di Siani e di D’Alessio la rispetto, ma non è la Napoli in cui mi identifico.
Lei ha recitato anche nella trasposizione teatrale di Gomorra di Roberto Saviano, mi viene spontaneo chiederle se è quella la Napoli in cui si identifica.
No, anche quella non è Napoli perché Gomorra è ambientato a Castel Volturno a 40 km di Napoli, nel casertano. Napoli non è solo la camorra. Io desidero un film sulla Napoli vera. Saviano ha messo ben in chiaro come stavano le cose, Napoli è vittima della camorra perché la camorra parte da qui per arricchirsi al Nord. Facendo la tournee a teatro con Gomorra ho ricevuto moltissime manifestazioni di affetto purtroppo molto di più da Roma in su. Al Nord mi è capitato spesso vedere il pubblico commosso e mortificato dallo stato delle cose. Quando però si discute si fa sempre di tutt’un’erba un fascio e questo mi da molto fastidio. Napoli è stata e potrà continuare ad essere la capitale europea della cultura. Il nostro patrimonio è inestimabile e questo non può essere dimenticato. Sono stato 10 anni fa a Tokyo a presentare l’Imbalsamatore, l’addetta al controllo documenti, leggendo la mia città di provenienza, ha nominato Roberto De Simone ed io mi sono sentito fiero. Questa è Napoli non pizza, mandolino, camorra e tarantella.
In Gomorra ha interpretato il ruolo di Pasquale il sarto.
Pasquale è un personaggio positivo perché si trova coinvolto ma non vuole. Mi ha molto entusiasmato interpretare questo personaggio, mi sono identificato in lui.
Il 18 Aprile sono usciti nelle sale due film che la vedono interprete, Nina e Sono un pirata sono un signore. Il 16 Maggio sarà la volta di AmeriQua. Di che film si tratta e che ruolo interpreta?
Con Eduardo Tartaglia regista di Sono un pirata, Sono un Signore siamo reduci dal successo de La Valigia sul Letto. E’ una commedia napoletana grottesca e non volgare, scritta molto bene, dove interpreto il padre della protagonista, Veronica Mazza. Abbiamo sfruttato il ruolo dei pirati, che vanno molto di moda ultimamente, per costruire la storia di quattro personaggi che vengono rapiti. Io sono il padre rimbambito data l’età (sperando che non sia un futuro prossimo!) alla ricerca disperata della figlia. Mi sono divertito moltissimo con i miei colleghi Francesco Pannofino e Maurizio Mattioli mentre con Tartaglia e Veronica Mazza ci conosciamo da una vita. In Nina sono stato fortemente voluto da una delle sceneggiatrici, Valia Santella con la quale avevo già fatto Lascia Perdere Johnny. Mi hanno dato l’opportunità di cimentarmi in un ruolo diverso come quello di questo professore di geroglifici cinesi molto dolce. Il film tratta della crisi dei trentenni, che qualcuno chiama ‘bamboccioni’, ma che non hanno un futuro, Nina è una di questi. In AmeriQua interpreto un malavitoso, ritornando ad uno dei miei ruoli storici, sono l’antagonista di Giancarlo Giannini. Si tratta di un ragazzo americano, un Kennedy, che viene in Italia a studiare e si trova in un mare di situazioni grottesche legate alla mafia, la camorra e così via.
In una carriera di alti e bassi come la sua, qual è la cosa che la inorgoglisce maggiormente?
Ogni volta che mi chiamano per lavorare mi sento orgoglioso e vivo perché mi sento apprezzato. Sono orgoglioso di non essere mai stato raccomandato o imposto da nessuno. Non devo niente a nessuno, frase che sottolineai anche alla cerimonia di consegna del David di Donatello.
A Torre del Greco ha inaugurato il progetto Vocazione Arte Vesuvio dedicato al mondo della recitazione, di cui lei è il direttore artistico, cosa spera di trasmettere alle nuove generazioni?
L’umiltà prima di tutto. Ho detto ai ragazzi che si sono iscritti che non esiste una scuola di teatro, la chiamiamo così perché, come diceva Shakespeare “la rosa se non la chiamassimo così, avrebbe sempre il suo profumo”, siamo abituati ad etichettare le cose. Non esiste una scuola che inventa attori, la scuola di teatro è una banca e se voi venite ad aprire un conto con cifra zero, io non posso fare niente, zero rimarrete. Se voi mi portate un piccolo capitale, io ve lo farò fruttare. Attori si nasce, non si inventa. Io non lusingo nessuno, ma con una predisposizione vi fornisco tutti gli elementi per crescere.
Anche perché la situazione del teatro non è proprio ottimale…
E diciamo anche che di attori cani ne abbiamo visti parecchi. E’ ora di finirla, non ne metterei al mondo altri!
E’ ottimista circa le sorti dell’industria cinematografica italiana, non crede che ci sia bisogno di una svolta, di un cambio di prospettiva?
Voglio essere ottimista perché credo che questa crisi prima o poi finirà. La mia generazione di sicuro non ce la farà a rimettere le cose a posto. Io spero per il futuro di mia figlia che fa l’attrice anche lei. In questo momento si stanno prendendo delle abitudini che sarà difficile cambiare. In teatro non ti pagano più le prove, prima si facevano i contratti a tempo determinato, oggi invece ti assumono la mattina ma ti licenziano la sera. Io per fortuna ancora non sono mortificato così perché ho una mia carriera alle spalle ma con i giovani questa è la prassi. Bisogna ricominciare da capo, i giovani devono ricominciare a combattere per i propri diritti. Poi c’è questa competizione tra le scuole di recitazione e molti non fanno che prendere fondi statali. Io non ho ancora ricevuto una lira e ci rimetto ogni mese. Molte di queste scuole formano delle compagnie mettendoci i ragazzi che pagano già le rette mensili non retribuendoli. Non solo dunque si autofinanziano con i soldi dei ragazzi ma li sfruttano anche. Questo comportamento non mi appartiene, ho una figlia di quell’età e sarebbe la prima a giudicarmi male. Guai ad essere giudicati male dai propri figli.
Lei come si trova con i giovani attori emergenti?
Il patto che ho fatto con me stesso è quello di rifiutare la vecchiaia, almeno fino a quando il cervello mi reggerà. Cerco di non essere di peso a nessuno, mi adatto ai loro ritmi e alle loro abitudini. Dopo 5 anni di Gomorra ho dei rapporti splendidi con tutti i giovani della compagnia. Li stimo tutti a partire da Ivan Castiglione e Francesco di Leva, reduce dal successo de Il Clan dei Camorristi e di Una Vita Tranquilla al fianco di Toni Servillo.
Ultima domanda, ha ancora qualche sogno nel cassetto?
Io i miei sogni li ho realizzati tutti. Nella vita mi ero prefissato di sposarmi, di fare l’attore, avere tre figli, due maschi e una femmina. Ho una moglie che mi adora, dei figli splendidi, ho fatto il lavoro che ho scelto di fare e ho anche avuto la fortuna di avere un po’ di successo. Personalmente ho avuto tutto, forse anche qualcosa in più. L’unico mio desiderio è quello di vedere i miei figli realizzati. Sono io in debito con la vita e non la vita con me.
di Rosa Maiuccaro