Haider Rashid: “Il mio Said è un simbolo di un cambiamento”
Sta per Piovere è il terzo lungometraggio del regista italo-iracheno Haider Rashid, che si inserisce con forza nel dibattito sul diritto negato della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri. Il film dà voce alle seconde generazioni attraverso la storia di Said, interpretato dall’esordiente Lorenzo Baglioni, nato e cresciuto in Italia da genitori algerini. Il padre perde improvvisamente il lavoro e, non potendo rinnovare il permesso di soggiorno, Said e la sua famiglia ricevono un decreto di espulsione. Il disperato tentativo di Said di affermare il proprio diritto di cittadinanza è raccontato attraverso un forte realismo e un bellissimo affresco della città di Firenze.
Oggi al Cinema ha intervistato per voi il regista Haider Rashid.
Da quando hai iniziato la tua carriera da regista hai affrontato direttamente i temi legati alla tua storia personale comune a moltissimi altri. Qual è la tua idea di cinema e che funzione può avere quando tratta temi così legati all’attualità?
Sicuramente la mia idea di cinema è molto personale. La mia è una ricerca stilistica da un punto di vista autoriale piuttosto che da un punto di vista commerciale. Con Sta per Piovere però abbiamo cercato di realizzare un film che fosse accessibile ad un pubblico il più vasto possibile proprio perché il tema invita a smuovere le coscienze. Credo assolutamente nel valore sociale del cinema perché può accendere i riflettori su delle realtà che non tutti conoscono, come questa, e sollevare così un dibattito. Uno dei motivi per il quale abbiamo scelto un approccio così diretto è stato per cercare di ‘polarizzare’ il pubblico.
Come si riesce a vivere in un Paese che non ti riconosce i diritti e che spesso è ancora molto indietro su temi come la multiculturalità, l’integrazione e dove persiste ancora il razzismo? Tu stesso a 19 anni ti sei trasferito a Londra…
Non è sicuramente facile crescere in Italia per i figli di immigrati che però, come Said nel film, riescono a trovare un loro modo di integrarsi e di affrontare le difficoltà. Sicuramente vivere in un paese che non ti riconosce come proprio è una cosa molto difficile anche perché, già in Italia c’è un senso di disconoscimento da parte degli italiani che hanno i diritti, pensa a chi ha dei diritti molto ridotti! Per me trasferirmi a 19 anni è stata una necessità, perché sentivo il bisogno di esplorare nuovi posti e sicuramente l’Inghilterra mi ha dato tanto. Poi però mi sono reso conto che quello che cercavo non era all’estero ma era qui e quindi sono tornato in Italia.
Sei tornato dunque per lottare per il futuro del tuo paese?
Detta così mi fai sentire importante! In realtà sono tornato due anni e mezzo fa perché credevo che fosse in atto un cambiamento culturale importante, che in parte è avvenuto, in parte no. Certamente però c’è qualcosa che sta cambiando nell’essere registi, autori facendo parte degli immigrati di seconda generazione. Poter contribuire in un momento in cui si sta prendendo coscienza di questa realtà è in un certo senso un privilegio. Io cerco di contribuire a questo dibattito con il valore sociale ed artistico del mio film.
In Sta per Piovere il protagonista è lacerato sia all’idea di dover abbandonare l’Italia sia da quella di doverci vivere clandestinamente. Qual è la cosa più dolorosa per Said quando deve fare i conti con il proprio stato da “immigrato”?
Sicuramente la disintegrazione della sua famiglia e dover vedere improvvisamente suo padre abbandonare la sua casa. Non essendoci più la madre, si tratta già di una famiglia con un equilibrio precario e Said a quel punto si vede mancare la terra sotto i piedi. Questo dolore è talmente grande che è difficile da spiegare, noi con il film abbiamo cercato di farlo ma dubito che l’atrocità di quel dolore possa essere percepita a pieno. Ho provato ad allungare la scena della partenza del padre proprio a questo proposito. Per me era importante portare lo spettatore ad osservare piuttosto che calcare troppo la mano sulle emozioni. Ecco perché abbiamo scelto un taglio realistico che talvolta sembra quello di un documentario.
Nel film Said non si arrende ma anzi ricorre all’attenzione mediatica. Sembra che in Italia per ottenere i propri diritti e giustizia bisogni per forza ricorrere al mezzo stampa perché gli organi competenti non garantiscono più.
In questo caso c’è un problema legislativo poiché esiste una legge vecchia e scritta male che purtroppo viene interpretata dai giudici di pace e ogni funzionario ministeriale in maniera totalmente soggettiva. Di conseguenza si fatica ad avere fiducia nel sistema. Quando ho scritto il film, mi sono consultato con dei legali che si occupano dei temi della cittadinanza perché pensavo di aver descritto un caso limite. In realtà loro mi hanno confermato quanto la storia di Said sia un caso comune con il quale loro si confrontano quotidianamente. Paradossalmente Said è fortunato ad avere la forza d’animo di combattere perché ci sono persone che non hanno la forza né i mezzi per poter reagire ad una condizione così drammatica. In qualche modo Said ricalca l’archetipo dell’eroe classico per cercare di diventare un simbolo di cambiamento.
Nel film c’è questo scontro tra i padri e i figli, immigrati di prima e di seconda generazione. Come si riesce a convivere con i valori impartiti dalla famiglia di origine e quelli della società italiana?
Questa è una bella domanda! Credo che il distacco generazionale ci sia a prescindere dalle culture. Sicuramente quando a convivere sono due culture diverse l’impatto dello scontro è più forte. Penso che alla fine si possa riuscire a trovare un metodo per dialogare. Nel caso di Said e il padre, c’è un grande affetto che li lega ed un grande senso di protezione da parte del figlio verso il padre che si prodiga per convincerlo che troveranno una soluzione. Said ha il merito di prendersi una grande responsabilità nei confronti del padre. E’ evidente come suo padre sia stanco, privo di voglia di combattere mentre Said è ancora in quella fase durante la quale non può tollerare le ingiustizie. Suo padre non combatte probabilmente perché percepisce la forza del figlio. Poi c’è anche l’allontanamento da parte del padre che nutre la voglia di tornare nel suo paese. L’esilio costituisce un motivo di dolore in più ed è un’altra questione a cui il film fa riferimento.
Il tuo film è molto interessante nella ricostruzione dell’identità dello “straniero”, che è un soggetto attorno al quale sono state scritte riflessioni filosofiche, poesie e libri bellissimi. Qual è la tua personale visione dello straniero?
Io sono vissuto in una realtà in cui tutti erano stranieri! Mia madre è una calabrese trapiantata a Firenze, mio padre iracheno trapiantato in Italia ed io sono cresciuto in una comunità in cui molti di noi erano di origini miste. Per me è sempre stato normale. Anzi, noi ragazzi non abbiamo mai percepito la nostra come una condizione di privazione bensì come valore aggiunto. La nostra condizione ci ha aiutati ad avere uno sguardo sul mondo più ampio malgrado spesso non si senta parte della città in cui si vive. Io stesso ho un rapporto ambivalente con Firenze, la sento come la mia città ma quando ci sono manifestazioni di forte identità fiorentina non me li sento appartenere. La mia storia è sempre più comune ed è ora che si cominci a raccontare la vita di queste persone andando al di là dagli stereotipi classici della rappresentazione dell’immigrato.
Che intenzioni hai per il futuro? Continuerai a trattare il tema della cittadinanza negata o hai in mente di cimentarti in qualcosa di diverso?
Ho già in mente un film che spero di riuscire a girare l’anno prossimo. Un film molto ambizioso, ambientato in diversi paesi, che continua sulla linea dell’identità. Parla di ragazzi della seconda generazione, questa volta iracheni che tornano a Baghdad, per scoprire la verità sul passato della loro famiglia. Anche in quel caso ci sono delle riflessioni sull’identità che hanno un respiro più ampio rispetto ad un paese che ha sofferto 40 anni di dittatura. Sulla questione della cittadinanza spero che Sta per Piovere venga visto e discusso e contribuisca a questo cambiamento. Speravamo potesse avvenire ora ma non so se questa politica lo permetterà. Questo è un dibattito che mi impegnerà personalmente perché per me la cittadinanza è un diritto basilare ed è veramente indecente che continui ad esserci questa situazione.
Ultima domanda, come ti sentirai il giorno in cui verrà messa mano alla legge del 1992 e ti verrà finalmente riconosciuta la cittadinanza italiana?
Credo che a quel punto tutti gli italiani dovranno essere contenti. Quel rinnovamento culturale di cui tanto si sente parlare comincerà anche quel giorno. Potremo smettere di pensare che gli altri paesi siano tanto meglio del nostro e potremo rinnovare l’identità culturale della nostra società conducendola verso una modernità culturale. Che la riconoscano o meno questa cittadinanza italiana, c’è poco da fare, noi siamo il futuro.
Sta per Piovere uscirà nelle nostre sale a partire dal 9 Maggio.
di Rosa Maiuccaro