Oggi al Cinema intervista Kim Rossi Stuart
Kim Rossi Stuart: “Fare un film ogni due anni è una buona abitudine”
Capelli lunghi, sguardo stralunato, un lieve balbettio. Così incontriamo l’attore e regista Kim Rossi Stuart nei panni del pater familias di Anni felici, nuovo film di Daniele Luchetti che torna a raccontare le dinamiche familiari (ispirandosi, stavolta, alla sua stessa famiglia) dopo i riuscitissimi Mio fratello è figlio unico e La nostra vita. In questa sua nuova fatica è la coppia, con tutti i suoi tormenti, a farla da protagonista: da una parte una moglie disorientata che si affanna a capire e capirsi (Micaela Ramazzotti), dall’altra un marito umorale, fedifrago e padre assente. È l’artista interpretato da Kim, che racconta a Oggi al Cinema questa sua nuova esperienza professionale.
Cosa la attraeva maggiormente della sceneggiatura?
Oggi più che in passato non è facile incontrare proposte o film interessanti, quando Daniele me l’ha chiesto ero assolutamente felice, non ho fatto un’analisi approfondita del personaggio, amavo già il suo cinema e ho accettato la sfida di un personaggio sulla carta monolitico, che non aveva una parabola o un movimento particolare.
Un uomo che, tra le altre cose, abusa della parola “libertà”: per lei cosa rappresenta?
La parte fondamentale della vita di coppia, nel senso di riuscire a vivere bene anche spazi privati e singoli, non condivisi. Il mio personaggio invece si accontenta di una dinamica di comodo e di una compagna-madre che lo accudisce e pensa a tutto, lì la libertà si riduce all’essere libero di vivere più storie contemporaneamente.
Nel film adotta uno stile recitativo curioso: insiste molto sull’espressività, sui gesti, sui tic. Da cosa nasce questa scelta?
Cercavo disperatamente un modo per rendere visibile la fragilità di quest’uomo. In scrittura il personaggio era molto più nascosto, difficile far capire chi fosse interiormente. Allora ho cercato di escogitare modi per dare segnali di fragilità e da lì sono nate le balbuzie, i tic, la nevrosi del viso, i movimenti della spalla. Ho fatto anche proposte estreme di caratterizzazione per creare empatia con un personaggio che correva il rischio di essere respingente. Mi interessava anche la leggerezza che Luchetti ha sempre avuto, così ho portato delle versioni alla Buster Keaton sul set, una comicità che poi lui ha rimodellato con misura. Insomma, per me la caratterizzazione estrema ha un valore se utile al film, e non fine a se stessa.
Da un passaggio set-vita privata, che tipo di padre è lei?
Sono padre da poco e mi sto sperimentando giorno dopo giorno. È importantante avere la forza di guardare crescere i propri figli, proteggerli, istruirli, lasciarsi anche sorprendere dalle loro inclinazioni e dalla peculiarità del loro spirito.
E come figlio?
Avevo molto della selvaticità che racconta Luchetti nel film, che negli anni 70 c’era, anche se c’erano anche padri autoritari ovviamente. Io fin da giovanissimo ho avuto la chance di prendermi la mia vita sulle mie spalle e non mi è dispiaciuto.
Cosa vorrebbe che ci fosse oggi degli anni ’70?
Quell’afflato, la passione quasi violenta, con tutti i suoi pro e contro: dava una sensazione di forte libertà, che tuttavia era anche fittizia.
In base a cosa sceglie oggi un copione?
Scelgo in base a un regista con cui voglio lavorare, una storia a cui non so rinunciare o un personaggio che mi tocca particolarmente. Alla fine penso che un film ogni due anni sia una buona misura per non annoiare e dedicare uno spazio adeguato alla preparazione del ruolo.
E il suo prossimo film da regista?
Sono anni che dico che lo sto preparando, la situazione ancora non è matura, oggi per fare un film un autore è costretto a farsi mille domande, il mercato è così violento, se non fai un tot di soldi entro le prime 48 ore il film non esiste, inevitabilmente siamo portati a farci più domande rispetto a quelle che si facevano prima.
di Claudia Catalli per Oggialcinema.net