Sono uscito per comprare le sigarette. Ho percorso via Mosso fino in fondo, dove è tagliata da via Padova. Piove, e la neve di questa mattina si è sciolta quasi tutta. Il Parco Ex Trotter è malinconico, gli alberi non hanno quasi più nessuna foglia addosso, e il cielo grigio li fa sembrare tristi e sconsolati. Gocciolano. Dicono che via Padova sia una zona a rischio. Dicono che sia pericolosa, dicono che sia un quartiere ghetto. Dicono tante cose. A Milano c’è sempre qualcuno che parla di qualcosa, c’è sempre qualcuno che si stupisce per qualcosa. Difficilmente qualcuno si ferma per osservare davvero ciò di cui sta parlando.
Camminando per circa un chilometro in direzione sud, verso piazzale Loreto, percorrendola tutta via Padova, si arriva in corso Buenos Aires. Dove i negozi illuminano la strada. Dove le donne, e i turisti vanno per fare shopping. Dove i venditori di ombrelli sorridono. Dove i negozianti ti invitano ad entrare e sotto Natale sembra di essere in un luna park. E se si guarda in fondo a corso Buenos Aires, verso Nord questa volta, se si guarda attentamente via Padova si vede. Se si osserva, via Padova si vede. Però pochi attraversano il piazzale per vedere da vicino, pochi vanno a rovistare nei supermercati cinesi, che vendono di tutto. Pochi si addentrano fin dove ci sono le macellerie arabe, ed un Egiziano con dei bei baffi neri sorride e ti invita ad entrare, esattamente come fanno i negozianti di corso Buenos Aires.
Sono uscito per comprare le sigarette. Fuori dal tabaccaio, con in bocca un sigaro lungo quanto una spanna ed al guinzaglio un cagnolino minuscolo e infreddolito, c’era un travestito magrissimo che parlava al telefono. Aveva in testa una parrucca inverosimilmente bianca, e non so come facesse a non congelare perché tutto quello che aveva addosso era un vestitino rosso cadente, concepito per contenere un seno che mancava del tutto. Mi ha tenuto la porta aperta. Quando l’ho ringraziata ha sfoderato un sorriso bianco quanto la sua parrucca.
Dentro il negozio almeno una ventina di persone si riparavano dal freddo. Un ragazzo nero, che poteva avere vent’anni, o forse meno, con una bottiglia di birra in mano discuteva animatamente con un arabo scavato. Quello che parlavano non era ne’ italiano ne’ francese, ma un misto di lingue difficilmente distinguibili. La ragazza cinese che mi ha servito, invece, parlava un italiano perfetto, con un lieve accento milanese. Seconda generazione, forse terza. Anche lei mi ha sorriso, poi è tornata a discutere con una coppia di albanesi che ascoltavano della musica dal cellulare ad un volume troppo alto. Dopo aver comprato le sigarette mi sono fermato ad osservare un uomo, un russo, dev’essere stato alto almeno un metro e novantacinque. Capelli biondi e volto rubicondo. Sguardo freddo e naso fiero. Era coperto d’oro, portava un orologio in cui avrei potuto specchiarmi e mentre sollevava la tazzina del caffè, sul mignolo alzato ho notato un anello con un brillante incastonato. Non parlava. Giacca e cravatta e non parlava.
Sono tornato nel freddo ed ho ripreso a camminare verso casa, la neve aveva lasciato grosse pozzanghere marroni sulle quali galleggiavano piccoli pezzi di ghiaccio che creavano una patina biancastra. Prima di infilarmi in via mosso ho osservato via Padova, dritta e fiera che usciva dalla città. Ho guardato i palazzi e le persone che camminavano, un sudamericano fumava piano fuori dal suo ristorante, un indiano sistemava la verdura nei cesti davanti al suo negozio. Ho guardato in alto e ho notato le luminarie natalizie, quei cuori accesi di rosso, privi di significato. Mi sono chiesto chi delle persone che avevo incontrato in quei pochi minuti potesse essere rappresentato da quelle decorazioni su cui si è tanto polemizzato. Mi sono chiesto, in fondo, a chi importasse.
Via Padova non guarda in alto, verso le luminarie. Guarda dritto in faccia. Cammina si muove e parla tutte le sue lingue, la multiculturalità di cui tanto si discute la vive. Non la mette in piazza. Quello delle luminarie è stato un bel gesto, certamente rappresentativo. Qualcuno ha deciso di reinterpretarlo e di snaturarlo. Poco importa. Quello che ne è emerso davvero è la mancanza di volontà di osservare da vicino cosa succede qui, di farne parte. Molta gente continuerà ad indignarsi, a schifarsi, a spaventarsi e a non attraversare piazzale Loreto per venire a dare un occhiata. Malgrado questo via Padova continua ad esistere,e ne vale la pena. GGD.
Foto: via Padova al tramonto, di Ilaria Mandelli