Magazine Spiritualità
Questo terremoto che ha distrutto vite umane, famiglie nepalesi e non, abitazioni e fantastiche costruzioni di grande valore sacro e storico, mi ha costretta, a connettermi più volte al giorno, per settimane, alle vicende del popolo nepalese e del popolo dei viaggiatori dell'Himalaya.
E così, pian piano, sono risaliti alla memoria e alla coscienza ricordi e doni che ho ricevuto da questa terra meravigliosa.Ho visitato il Nepal nel 1985, per la prima volta. Era ancora un territorio vergine. Pochi turisti. I nepalesi gentili, curiosi ma, al tempo stesso, per nulla invadenti.
Era un tempo, quello, in cui, chi viaggiava con zaino in spalla come me, alloggiava in pensioncine o piccoli alberghi a conduzione più che familiare.
Si poteva disporre veramente di pochi comforts.
Persino bere una tazza di tè al mattino presto, risultava difficile e bisognava attendere che il primo venditore ambulante, arrivasse a Thamel e allestisse il suo fornello sul marciapiede, tazze sistemate all'interno di un secchio, per poter sorseggiare, dopo poco, il "chai" fumante e troppo dolce, ma tanto agognato perché la semplice cena della sera prima aveva già cessato, da qualche ora, la sua funzione di sostegno.
Noi pochi turisti eravamo soliti sedere a terra, aspettando il nostro turno mentre intorno a noi la strada si animava. Estraevamo dalle borse qualche biscotto acquistato il giorno precedente perché, alle sette del mattino, nessun negozio a Kathmandu aveva fretta di aprire i battenti.
Insomma, se si voleva sopravvivere, bisognava sapersi organizzare in Nepal, trenta anni fa.
La città e la valle di Kathmandu, i templi e gli stupa ci sbalordivano per la loro bellezza. Ogni giorno intraprendevamo escursioni che ci portavano a contatto con uno stile di vita semplice, modesto che si svolgeva, però, accanto a costruzioni sbalorditive, quasi fiabesche.
Il regista italiano Bernardo Bertolucci ci ha mostrato la magnificenza di questi luoghi nel film “Il piccolo Buddha”.E fu per questo, e per le montagne, e per la gentilezza innata del popolo nepalese che tornai e tornai più volte negli anni che seguirono, il magnete sotterraneo installato in Nepal, continuava ad attirarmi.Vidi la città di Kathmandu trasformarsi: negozi, ristoranti, alberghi per tutti i gusti e per tutte le tasche, ma, di fondo, il popolo nepalese con l'umiltà e il rispetto di sempre verso i viaggiatori che ormai invadevano le strade della capitale, della valle e i sentieri montani.I nepalesi imparavano a confrontarsi con un turismo straripante, gestivano un enorme giro di affari, subivano vicende politiche interne molto inquietanti, ma continuavano a mantenere una notevole integrità morale, semplicità e schiettezza nei rapporti con le migliaia di persone che, da tutti i luoghi della terra, ogni anno si riversavano nella terra "dimora degli dei".Ogni volta che sono atterrata nel piccolo aeroporto di Kathmandu, scendevo la scaletta dell’aereo, mentre mi incamminavo a piedi per l’applicazione del visto e le varie formalità, sentivo che la valle e le montagne attorno mi sussurravano "bentornata"!
Ci si può sentire a casa propria anche in mezzo a tanti volti sconosciuti.
La capacità di accoglienza dei nepalesi è da imitare.
E non importa che tu sia un ricco turista, un commerciante, un camminatore di montagna o fai parte di una spedizione che scalerà le vette più alte: tu sei sempre il benvenuto.Il popolo nepalese sembra dire: "Tu sei qualcuno che viene da lontano per vedere le meraviglie di questa terra e allora a te va il sorriso, a te auguro il benvenuto. Namasté!"Il primo viaggio che feci con mio figlio fu, senza dubbio, il più carico di significato. Aditya aveva quattro anni quando il Nepal mi chiamò a tornare.
E per farlo, spedì nel mio ristorante un messaggero che, di certo non poteva essere uno qualunque. George, americano di Boston, figlio di quella stirpe africana che aveva dato il sudore e spesso la vita nei campi di cotone, era uomo dal modo di fare istrionico, non passava certo inosservato.
George, dotato di spiccate doti di veggenza, piombato magicamente a Khajuraho da Kathmandu, per innescare nella mia vita una serie di collegamenti ed eventi a catena, che mi hanno aperto nuove strade, amicizie e opportunità che hanno ancora una potente risonanza nella mia vita oggi: era il 1997.
George venne spesso mangiare nel mio ristorante, apprezzava la cucina italiana e, soprattutto, il modo in cui io la proponevo, semplice, secondo le ricette di casa mia, in un luogo ben lontano da qualunque civiltà occidentale.
Facevamo tutti, io affiancata da giovani indiani volenterosi, sforzi titanici per cucinare e servire pasta e lasagne, parmigiana di melanzane e tanto altro ancora, in mezzo a mille difficoltà.
Ma di questo parlerò un'altra volta...Ma torniamo a George. Nacque tra noi un'amicizia. Molto di più un'alleanza. Stava viaggiando da tanti mesi, gli ultimi due li aveva trascorsi in Nepal.
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