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Omeopatia della contentezza

Creato il 15 marzo 2013 da Lucas
Sono molto bravo a essere contento senza manifestare troppo la mia contentezza, senza esaurirla tutta in un colpo, ma distribuirla, a poco a poco, nel corso dei giorni che seguono l'evento che l'ha fatta scaturire. È una specificità del mio carattere, questa, alla quale presto volentieri il fianco, anche se - penso - a volte bisognerebbe contravvenissi, costringendomi a sprecare l'entusiasmo tutto d'un colpo.
E oggi stavo per farlo, davvero, per ragioni attinenti a un particolare stato del mio apparato genitale periferico, quel fastidio legato alla minzione - ho avuto la menzione d'onore insomma, il meato uretrale non è poi così malaccio, non richiede un subitaneo intervento, stia tranquillo Massaro, stia tranquillo, casomai ne riparliamo tra un semestre.
Sono uscito dallo studio medico tutto infervorato di gaiezza e soddisfazione, malamente rivestito, in maglietta e il giubbotto sotto braccio nonostante i sei gradi e il vento che sferzava la fila di lecci del viale omonimo.
Per un attimo, ho pensato a come festeggiare, ma ero solo, all'inizio di un pomeriggio che conteneva tutte le offerte possibili. Per coglierle, ho scelto la strada più semplice: sono stato all'Ipercoop per rubare alle cassiere, poco impegnate nelle ore di calma, stralci di conversazioni di vario tipo. Oggi, addirittura, ho colto una dire a una collega: «Io il best sellers che voglio leggere è Cinquanta sfumature di grigio» e, nel dirlo, si è guardata intorno per notare se qualcuno l'avesse sentita. Con la coda dell'occhio ha visto che io avevo rubato questo suo pio desiderio; allora ha interrotto la conversazione e ha proseguito a conteggiare i prodotti che i clienti mettevano sul nastro.
Io sì che sono un moderato, uno programmato - se la salute tiene e il pianeta pure - ad arrivare a cento anni di godimenti da brodino vegetale. E dico così perché ripenso a come un mio amico senza fissa dimora che ora non c'è più, nel senso ch'è morto per un cancro alla gola dopo una vita da 40 nazionali con il filtro prima e di pall mall poi al giorno, il vino e le notti d'inverno a dormire in stazione, dicevo ripenso a come lui, una volta raggiunta la minima (ché in fondo aveva sulle spalle una ventina d'anni di contributi, smise di lavorare a cinquant'anni e dovette aspettare i 65 per ottenere la pensione), se la spendeva nel giro di un paio di giorni per ritornare i restanti del mese nella miseria più nera. E cioè: coi soldi in tasca andava in un albergo a tre stelle e pernottava una o due notti, dormendo tutto di fila dalle 8 di sera sino alle 8 della mattina successiva, sfruttando il bagno caldo e una parca colazione a base di caffè e sambuca. Insomma, egli non razionava la contentezza derivante dal ricevere una pensione dopo quindici anni di vagabondaggio ed elemosina: la sprecava tutta d'un colpo per poi ripiombare a dormire in una sala d'aspetto malamente riscaldata, seduto su scomode seggiole di fòrmica e metallo, tra il fetore di biancheria imputridita da una settimana senza lavarsi sotto, e il rumore poco conciliante del passaggio dei treni della notte.
Io invece diluisco, misero omeopata del carpe diem.

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