Omosessuali, incestuosi e poligamici chiedono il matrimonio

Creato il 22 aprile 2013 da Uccronline

Robert P. George, giurista presso la Harvard Law School e l’università di Princeton, Girgis Sherif, ricercatore di filosofia a Princeton e alla Yale Law School e Ryan T. Anderson ricercatore della Heritage Foundation hanno riaperto il discorso: una volta che si abbandona l’attuale concezione del matrimonio sostituendola con un contratto che legittima solamente una relazione tra persone adulte e consenzienti legate da un rapporto sentimentale, non esiste più una base di principio per negare o resistere all’estensione della licenza di matrimonio a tutte le possibili forme di relazioni tra individui adulti.

In altre parole, se il matrimonio non è più il garante dell’ordine delle generazioni (matrimonio deriva da matris munia, doveri della madre verso i figli) basato sulla complementarietà e sulla fecondità, istituzionalizzando tra l’uomo e la donna quelle relazioni pubbliche di particolare intensità e responsabilità che consentono la nascita della famiglia, come struttura di socializzazione primaria, ma serve solo a soddisfare il desiderio di compagnia tra adulti, risulta una negazione di uguaglianza negare un riconoscimento e un’equiparazione al matrimonio naturale anche alla poligamia, all’incesto e a tutte le possibili e fantasiose forme di relazione tra gli uomini. Rifiutarle sarà possibile, ma violeremo il principio di uguaglianza e non avremo più un fondamento giuridico stabile e coerente.

«Per troppo tempo l’Australia ha negato ad alcune persone il diritto di sposarsi. Troviamo questo aberrante. Noi crediamo che tutti dovrebbero essere autorizzati a sposare i loro partner, e che la legge non dovrebbe mai essere un ostacolo all’amore». Pensate che la frase sia stata detta dal leader omosessuale Franco Grillini? Assolutamente no, proviene dall’associazione di poligamici australiana Polyamory Action Lobby, che ha approfittato del dibattito sulle nozze gay per intervenire con le sue richieste: «Chiediamo niente di meno che il pieno riconoscimento delle famiglie poligame. Il poliamore spesso non è una scelta, molta gente ama più di una persona e non può farne a meno». L’uguaglianza del matrimonio la chiedono anche loro, perché -si legge sui siti poligamici (e certamente anche tra gli incestuosi)-, «una famiglia dovrebbe basarsi sulla sicurezza, la stabilità e l’amore, non sulla sua struttura». Come si vede, lo stesso linguaggio e le stesse richieste degli omosessuali arrivano anche dai poligamici…ma con quale argomento dire di “no” a loro, una volta che la relazione omosessuale è stata equiparata al matrimonio naturale? Come difendere costituzionalmente il matrimonio monogamico? Risponde in questo ottimo lavoro lo studioso Ryan T. Anderson, della The Heritage Foundation: «Se la complementarità sessuale viene eliminata come una caratteristica essenziale del matrimonio, allora nessun principio limita il matrimonio civile alle coppie monogame»

Su un portale anglosassone si è affrontata la stessa tematica, chiedendosi provocatoriamente: «se due lesbiche, perché non due sorelle?», ovvero se il matrimonio diventerà semplicemente l’unione di due persone che si amano, indipendentemente dal loro sesso, perché non si può sposarsi tra fratelli? Qual è la differenza tra due sorelle e due lesbiche che desiderano sposarsi? Entrambe le coppie non possono procreare, entrambe si amano e sono disposte a prendesi cura del partner. Se il matrimonio è associato al romanticismo e ad una rivendicazione sentimentale, non c’è alcun motivo per discriminare l’amore tra due sorelle. In realtà potremmo spingerci oltre e domandarci con quale autorità lo Stato deve permettere il matrimonio solo a persone che si amano e non riconoscere anche la relazione tra due amici legati soltanto da un grande affetto? Cosa potrà mai importare allo Stato della qualità del sentimento che provo per un’altra persona, sono entrambi consenzienti e vogliono beneficiare entrambi del loro affetto, anche se non è amore. Perché dunque negare il matrimonio anche a due amici? Chi osa dire che l’amicizia vale meno dell’amore? E’ evidente che lo stravolgimento antropologico del senso del matrimonio genera una serie di reazioni a catena totalmente incontrollabili.

L’unica soluzione per mantenere una coerenza e una stabilità dei fondamenti giuridici, evitando di modificare la Carta costituzionale, snaturando il senso del matrimonio, è quella ribadita dal prof. Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata: «In quanto costitutivamente sterile, il rapporto omosessuale (come peraltro qualsiasi altra forma di rapporto affettivo o amicale) non ha alcun bisogno di un riconoscimento legale, o almeno non ha bisogno di un riconoscimento diverso da quello che l’ordinamento giuridico potrebbe, se volesse, offrire, ma solo sul piano patrimoniale, ad altre forme di convivenza “non sessuate” , che venissero ritenute meritevoli di attenzione sociale (come quelle tra fratelli conviventi o tra anziani genitori e un figlio)». Usare la stessa parola “matrimonio” per designare due o più realtà fondamentalmente diverse, non rispetta queste realtà e introduce, per di più, un’enorme grado di confusione. Inoltre, come ha fatto notare la prestigiosa filosofa francese Sylviane Agacinski, «È molto difficile separare il problema del matrimonio “omosessuale” da quello della “omogenitorialità”, perché nessuno può ignorare che un “matrimonio omosessuale” instaurerebbe simbolicamente come coppia genitoriale due persone dello stesso sesso e metterebbe in discussione la filiazione bilaterale dei figli (un lato materno e un lato paterno)», dunque è una posizione errata quella di chi afferma di essere favorevole alle nozze gay ma senza aprire all’adozione.

Certo, negare le nozze gay significa negare la felicità di molti omosessuali, così come negare un riconoscimento giuridico dell’incesto o della poligamia significa negare la felicità di molti incestuosi, poligamici o semplici amici (secondo l’esempio di sopra). Molte sono le battaglie in nome della felicità, ma -ha spiegato ancora il giurista D’Agostino- sono «una battaglia molto ingenua, perché, comunque essa vada a concludersi, non è dal diritto e dai suoi eventuali (e impropri) riconoscimenti simbolici che deriva la nostra felicità, ma dalla coerenza tra il bene, nella sua oggettività, e il nostro personale stile di vita». Il punto chiave del discorso è invece «la deformazione oggettiva del matrimonio come istituto giuridico che è conseguenza inevitabile del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali. Su questo punto e su questo soltanto dobbiamo discutere, senza cedere a suggestioni che hanno un notevole rilievo ideologico, ma una limitata forza argomentativa». Il tutto sintetizzato bene da un titolo di Avvenire: la legge promuove i diritti non appaga i desideri.


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