Conobbi il Professore in internet e, seppure da piemontesi formali, simpatizzammo subito. Quasi subito prese l’abitudine di passare a trovarmi quando, sovente, veniva nella mia città per lavoro; appena in stazione mi telefonava e ci si incontrava per un caffè, dopo di che lui apriva il portatile e mi metteva a parte delle sue ricerche.
A dire il vero non ci capivo molto: lui andava troppo veloce e soprattutto faceva eccessivo affidamento sulla mia intelligenza, su cui non osavo deluderlo. All’inizio mi pareva il solito matto scopritore del moto perpetuo o cose del genere. Ma presto capii che si trattava, semplicemente, di un genio; e non di un genio incompreso purtroppo, a giudicare dagli episodi di ostruzionismo spietato che mi narrava. Anche su questo non c’era ragione di dubitare: il professore era sempre sincero, soprattutto sulle difficoltà e sui fiaschi, tutt’al più glissava un poco sulle buone riuscite.
Un giorno (sono trascorsi già molti anni) mi telefona la moglie del Professore, o per meglio dire ormai la sua vedova. Proprio sulla soglia del pensionamento che gli avrebbe consentito di dedicarsi interamente alle sue ricerche, il Professore era stato piegato dal brutto male di cui soffriva da tempo e che si era illuso di controllare. Ora la vedova stava contattando i collaboratori e gli amici per onorare la sua memoria completando e finalmente pubblicando le sue ricerche. Mi schermii, ma non abbastanza, sapevo che mi toccava e la cosa mi faceva comunque piacere. La signora venne, e scorrendo carte e dischetti passammo un’intera giornata, al termine della quale dovemmo convenire su ciò che io già sapevo all’inizio. Nessuno, mi pare, di quanti prima e dopo di me vennero consultati seppero fornire una chiave; tutti però rimasero negli anni legati da un filo sottile ma tenace, come testimoniano le mail che a Pasqua e a Natale arrivano o partono.
Oggi i risultati del lavoro del Professore, esattamente al punto in cui lui li ha lasciati, sono nascosti in bella evidenza su internet, in attesa di chi voglia e sia in grado di dar loro una veste definitiva, che gli imprima il sigillo della certezza.
Le opere sovente sono oscure, e i giorni non sempre benevoli. La storia dei fallimenti e dei silenzi quasi mai viene scritta. Ma per parlare del fallimento dell’opera di un uomo non basta attendere il suo ultimo giorno, bisogna aspettare l’ultimo giorno del mondo, e forse anche oltre. Senza contare poi che chi dopo la morte ha dei fedeli che si prendono cura del suo ricordo una qualche vittoria l’ha pure ottenuta.
Il vento che soffia dove vuole spesso ritorna sui suoi passi, scoprendo a volte scheletri politi che risplendono più di tanti volti.
Magazine Cultura
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