di Denise Serangelo
Lo scorso 24 Settembre nel distretto di Farah, in Afghanistan si sono conclusi i primi corsi per istruttori delle Forze di Sicurezza Afghane (Afghan National Security Forces, ANSF) nella lotta agli Improvised Explosive Device (IED) e le operazioni di bonifica delle principali vie di comunicazione del Paese, svolte dagli specialisti della task-force “Genio” dell’Esercito Italiano. La necessità di addestrare personale della Afghan National Security Forces si è fatta impellente soprattutto con l’inizio del ritiro delle truppe del contingente Internazionale ISAF: garantire elevati livelli di sicurezza per i militari impiegati nel Paese dal 2015 richiede infatti un maggior sforzo di collaborazione e coordinamento tra questi ultimi nella lotta agli ordigni improvvisati. Il contrasto agli IED, o almeno il tentativo di arginare il loro uso, è fondamentale per la messa in sicurezza del Paese e per continuare le opere di ricostruzione di quest’ultimo.
Gli Ordigni Esplosivi Improvvisati (Ordigni e non bombe, perchè queste ultime hanno una costruzione regolamentata e il loro uso è supervisionato da leggi internazionali) sono dispositivi costruiti artigianalmente, utilizzando soprattutto materiale di derivazione bellica abbandandonato dalle truppe di occupazione oppure rinvenuto dopo uno scontro a fuoco con pezzi di artiglieria. La creazione di questi ordigni non ha regole nè schemi, tutto ciò di cui si ha bisogno è la fantasia umana e qualche sostanza chimica che troviamo quotidianamente anche nelle nostre case come ammoniaca e fertilizzante. La versatilità di impiego e il costo che rasenta lo zero, rende gli IED uno strumento di terrore (anche e soprattutto psicologico) di grande rilievo e su cui è necessario, per gli analisti militari, soffermare l’attenzione al fine di poter arginare l’evento negli attuali scenari operativi e in quelli che verranno.
Gli IED rappresentano nella maggior parte dei casi l’arma primaria per chi porta avanti azioni di guerriglia perchè consentono di opporsi con grande efficacia ad eserciti ben armati ed equipaggiati, puntando sull’effetto psicologico che questi hanno sui soldati. Lo stress derivato dalla costante presenza di una minaccia a loro invisibile e mutevole a cui sanno di non poter far fronte in maniera costante, porta i soldati ad uno stato di profonda depressione e angoscia, li costringe a lavorare sempre sotto tensione e a dubitare di chiunque e di qualsiasi oggetto o animale si ponga sul cammino del contingente. Prolungando questo stato di stress per una durata minima di sei mesi, troviamo situazioni in cui i soldati sono spesso costretti a rimpatriare e a sottoporsi a sedute di gestione del trauma subito. Nei casi più gravi lo stress post traumatico costringe i militari al congedo.
Questi artifizi hanno trovato e trovano largo impiego soprattutto se si opera in condizioni di minaccia generalizzata con la partecipazione agli scontri di forze non governative; questa sostanzialmente è la descrizione di quelle che oggi vengono chiamate con il nome di “guerre asimetriche”.
Nella maggior parte dei casi, come si diceva, il materiale utilizzato per poter costruire queste mine non convenzionali è costituito da residuati bellici non esplosi come proiettili di artiglieria, mine, munizionamento vario di medio e grosso calibro, materiale esplodente. Essendo gli IED armamenti non convenzionali, chi li impiega non si rifà a nessun tipo di procedura che standardizza il loro uso; anzi, non utilizzando schemi prefissati, si rende sempre più difficile e complessa la fase di individuazione e disinnesco. Inoltre la totale assenza di schemi chiari rende praticamente impossibile l’attività di analisi sviluppata per prevenirne la minaccia: l’assenza di conoscenza della minaccia stessa aumenta così lo stress psicologico del soldato.
La principale problematica legata agli IED è proprio l’indeterminatezza; possono essere utilizzati ovunque e contro qualsiasi mezzo o personale equipaggiato. Sono spesso utilizzati a bordo delle strade e fatti esplodere al passaggio degli obiettivi, secondo una tecnica che incrementa a dismisura il tasso di indeterminatezza nelle operazioni e nei movimenti e che è atta a provocare danni ingenti non tanto in termini di vite umane quanto in termini di danni a mezzi e impatto psicologico. È intuibile come tutto questo si presti a porre gli IED come una delle principali modalità offensive a disposizione delle forze terroristiche insurrezionali.
Aree di utilizzo e incremento degli IED in Afghanistan – Fonte: The Guardian
E’ importante sottolineare come oggigiorno attraverso internet le strutture terroristiche sono in continuo contatto tra loro ed è quindi presupponibile che ci sia una costante trasmissione di dati e informazioni che consente un passaggio di tecnologie ed “idee” in tempo reale. In questo contesto chiunque può imparare a costruire un nuovo ordigno e a condividerne molto rapidamente con altri gruppi affiliati le caratteristiche e gli effetti. E’ ormai accertato che in moltissimi casi i talebani in Afghanistan abbiano fatto uso di IED sempre più sofisticati mutuando tecnologie e tattiche sperimentate in Iraq. Si è passati infatti da ordigni derivati dalla trasformazione di munizionamento bellico assemblato spesso alla rinfusa e che privilegiavano la quantità di esplosivo, a ordigni caratterizzati da un più elevato rapporto costo/efficacia, improntato al criterio “poco esplosivo, massima trasportabilità, elevato effetto dirompente”.
Gli analisti di politica militare e gli esperti dei nuclei del genio guastatori dell’Esercito Italiano che si occupano del disinnesco e dello studio di questi ordigni, suppongono che l’impiego degli IED crescerà nel futuro prossimo, soprattutto perchè ancora non è stata individuata una vera e propria metodologia di contrasto completamente soddisfacente. Non essendoci attualmente una soluzione unica al problema degli IED bisogna tenere perlomeno in grande considerazione l’impatto psicologico e di stress che questi hanno sulle truppe. La costante incertezza e la paura di finire vittime di attentanti suicidi è sempre costante, qualsiasi oggetto o persona può risultare un pontenziale nemico e ferire o peggio uccidere il personale che viene impiegato. Il trauma psicologico profondo che i soldati subiscono in teatri dove è massiccio l’uso di IED è il risultato a cui gli insurgence mirano. Un soldato stressato e perennemente sottoposto ad una minaccia invisibile e talvolta assente è un soldato meno pronto a reagire in caso di imboscata, ma soprattutto è un soldato che non presta attenzione alle condizioni generali in cui opera: questo calo di efficienza permette agli insorti di agire in modo più sfrontato. Non notando le condizioni e i cambiamenti dei teatri operativi, il personale militare non riesce a prestare l’attenzione necessaria a quelle che sono le modificazioni del terreno dovute all’uso di questi artifizi, con il conseguente abbassamento del livello di sicurezza dell’intero contingente. Allo stato attuale non esiste nessuna tecnica che permetta ai soldati di gestire l’alto livello di stress quando si trovano ad operare in teatri dove è rilevata la minaccia di IED.
Si può arginare la tensione con strumenti di prevenzione che identificano e distruggono alcune tipologie di ordigni improvvisati. Gli IED sono difatti particolarmente adatti a raggiungere l’obiettivo di provocare perdite inaccettabili sul piano politico anche se abbastanza sopportabili sul piano puramente militare. Essi pertanto rappresentano una sfida di non poco conto per le attuali e future operazioni militari.
Lo IED è pertanto destinato a rimanere l’arma per eccellenza utilizzata da terroristi e attori insurrezionali su scala sia locale che globale, dal momento che consente loro di ottenere risultati spettacolari e di grandissima risonanza internazionale a fronte di bassissimi costi. Non possiamo dimenticare che, al di fuori degli IED, nessun altro sistema di offesa è caratterizzato dall’elevato potenziale intrinseco di unire l’effetto materiale a quello mediatico che costituisce attualmente un’importantissima componente della cultura moderna. È necessario, secondo gli esperti analisti che quotidianamente si occupano del counter-IED, affrontare il problema su differenti fronti, tenendo ben presente l’importanza fondamentale di disporre di database di informazioni costantemente aggiornati nei quali far confluire qualsiasi dato che si riferisca ad utilizzo di IED anche al di fuori delle aree di interesse del contingente. La cultura terroristica dell’uso degli IED, infatti, evolve su un piano globale e lo scambio di informazioni si avvale di un network strutturato e capillare.
Non è azzardato affermare che, almeno per quanto attiene alle tattiche terroristiche applicate e spesso anche alla tipologia di IED utilizzati negli attuali attentati, è possibile ricavare particolari comuni a fatti del passato, come le azioni terroristiche realizzate in Libano negli anni Ottanta e quelle attuate dai gruppi eversivi appartenenti all’IRA ed all’ETA da cui non è escluso che qualche specialista sia ”migrato” nei campi di addestramento afghani.
Il problema va quindi affrontato su un piano generale e con un approccio onnicomprensivo, continuando perciò ad investire sulle varie tecnologie che un domani possano permettere la detection stand-off di materiale esplosivo nelle vicinanze del contingente senza dover far scendere il personale dal mezzo per transitare su una strada. I sistemi di jamming, risultano senz’altro utili ma non certo risolutivi, così come la ricerca scientifica relativa al contrasto agli IED dovrà necessariamente essere sempre più incoraggiata in direzione delle varie e ancora in parte inesplorate tecnologie.
Allo stato attuale delle cose però gli IED sono la più importante e invisibile minaccia ai nostri contingenti che l’uomo abbia creato. Alcuni analisti tendono a definirli “le armi perfette” il cui unico reale rimedio sarebbe quello di fermare la fantasia umana.
* Denise Serangelo è Dottoressa in Scienze Strategiche (Scuola di Applicazione e Studi Militari dell’Esercito – Università di Torino)
Photo Credit: US Army photo by Sgt. Joshua LaPere/Released
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