Eccomi di nuovo a parlare di stress, argomento di sempre più attualità, poiché costituisce, a nostro malgrado, una realtà che avvolge, chi più e chi meno, tutti quanti.
Non è certamente un caso, dunque, che riparli di stress e soprattutto della modalità interpretativa con la quale costruiamo le avversità della vita che ci si presentano. E’ proprio il nostro atteggiamento mentale verso le negatività, che deciderà la particolare drammaticità dei comportamenti e delle emozioni che ne seguiranno.
Ritengo, pertanto utile, comprenderlo il più a fondo possibile, al fine di avere più conoscenza disponibile per potergli far fronte. Il nodo centrale, è che la capacità di gestione dello stress può essere incrementata attraverso la conoscenza dei meccanismi mentali che lo regolano.
Come ho accennato in precedenti articoli, l’entità dello stress non consegue automaticamente da eventi ritenuti oggettivamente negativi, ma esiste tutta una serie di fattori personali (le proprie cognizioni) che decidono come un evento qualsiasi inciderà sul nostro stato di salute.
La conoscenza personale, il nostro bagaglio di informazioni “sedimentato” nella memoria nel corso degli anni, quale frutto delle esperienze di reciprocità tra la nostra struttura mentale e il mondo, costituisce il filtro attraverso il quale osserviamo e costruiamo gli eventi di vita. Con tale bagaglio si intendono gli schemi cognitivi, la capacità previsionale, le aspettative, che si adoperano su se stessi e sul mondo.
Il modo di percepire, di interpretare o meglio di costruire la realtà, che è un modo personale ed unico di elaborare gli input interni ed esterni afferenti al nostro sistema cognitivo, è dunque il centro della vita mentale.
Il punto è proprio qui, l’angolazione, l’ottica con cui interpretiamo e valutiamo gli eventi, le cognizioni che abbiamo su di essi, sono il fulcro del nostro divenire sia esso felice od infelice.
Pertanto, quando parliamo delle nostre reazioni agli eventi delle vita, dobbiamo fare attenzione a distinguere fra il valore oggettivo del potenziale agente di stress, e il valore soggettivamente attribuito, che determina l’effettiva risposta fisica e psichica ad esso correlato.
L’uomo non è strettamente determinato dall’ambiente, né dal suo passato, né dalle sue pulsioni, ma dal modo con cui soggettivamente costruisce la conoscenza di sé stesso, del suo ambiente e della sua storia.
E’ “la sedimentazione conoscitiva” che acquista una grande importanza nel decidere se un avvenimento, anche traumatico, avrà effetto sul l’equilibrio psicofisico dell’individuo.
E’ la vecchia conoscenza, che imponendosi coattivamente, costituisce il substrato sul quale accomodare la nuova conoscenza (la costruzione del nuovo evento), la quale dovrà necessariamente accettare compromessi prima di fissarsi come “dato nuovo”. Inevitabilmente quest’ultima sarà influenzata dalla prima, ed insieme segnano il personale modello interpretativo con il quale ognuno di noi costruisce il mondo e se stesso… da qui l’espressione che noi adattandoci all’ambiente in cui viviamo, non facciamo altro che costruirlo.
Costruire significa semplicemente interpretare la realtà in un modo personale, un modo particolare di osservare e spiegare il mondo che viene costruito attraverso l’esperienza. La realtà non verrebbe quindi scoperta, come molti erroneamente credono, ma semplicemente inventata!
Il patrimonio conoscitivo, la modalità con cui l’individuo entra in relazione con se stesso e il suo ambiente, e ne attribuisce i significati e previsioni, nasce con noi e ci accompagna per tutta la vita. Inizia col rapporto di scambio tra il neonato e le figure significative, cioè nel periodo chiamato dell’attaccamento (periodo in cui la sopravvivenza è strettamente dipendente dalla figura d’accudimento) e, nel quale è integrato il corredo conoscitivo innato (i primari costrutti fisici d’interazione utili alla sopravvivenza, es: il pianto, il sorriso, il dolore, ecc.), producendo l’aumento del patrimonio dei costrutti. Quest’ultimi intesi come unità elementari di conoscenza, e il loro insieme costituisce il personale modo di osservare la realtà.
Spiegato in senso lato, i costrutti costituiscono non altro che il nostro modo di pensare, i nostri “gusti e giudizi”, insomma, detto molto semplicisticamente “ciò che ci piace e ciò che non ci piace”.
In sintesi, l’attività del conoscere sottende l’attività del costruire, la quale a sua volta sottende l’attività del prevedere. Il prevedere è il formarsi un “infinito” numero di costrutti, che ci permettono di sapere, in ogni momento che n’abbiamo bisogno, ad esempio:
-come siamo, come sono gli altri;
-come ci comporteremo, come si comporteranno;
-cosa ci piacerà, cosa gli piacerà; ecc., ecc.
Insomma previsioni su se stessi o sul mondo.
Tale conoscenza da la possibilità di programmare il proprio agire in relazione agli obiettivi che l’individuo stesso si propone.
Conoscere, per l’uomo, è l’impulso primario che governa ogni suo comportamento, ogni sua azione, per raggiungere la sicurezza sull’ambiente, che rappresenta la pietra angolare del suo benessere.
Gli studi sulla psicologia della percezione c’insegnano che non si vedono gli oggetti “perché esistono”, ma soltanto dopo un elaborato processo di costruzione, allo stesso modo non si rievocano gli oggetti o le risposte semplicemente perché nella mente esistono le loro tracce, ma soltanto con un analogo processo di ricostruzione (nel quale si fa uso dell’appropriata informazione presente nella memoria). Noi percepiamo “il nuovo”, costruendolo sull’informazione costituita dalle tracce dei processi di costruzione precedenti, cioè non esistono in magazzino copie d’eventi mentali completi, ma solamente segmenti della precedente attività costruttiva, se così non fosse dovremmo possedere una capacità mnestica inimmaginabile! Le tracce, dunque, non sono semplicemente “rivissute” o “riattivate”, al contrario, i frammenti memorizzati sono utilizzati quale informazione per una nuova costruzione (la nuova invenzione!). ..
…segue!