Out of the Furnace, perfetto ma senz’anima
Può solo ricevere apprezzamenti Out of the Furnace, il nuovo film del regista americano Scott Cooper, presentato in concorso all’ottava edizione del Festival di Roma. Eppure, non per trovare necessariamente difetti o elementi negativi laddove è difficile scovarne, usciti dalla sala un pizzico di insoddisfazione rimane. Perché se è vero che il lavoro di Cooper così come quello di tutto il cast è impeccabile, il film resta purtroppo ingabbiato in uno schema cinematografico, sia stilistico che narrativo, che non è altro che lo schema classico del cinema americano post New Hollywood, visto, rivisto, rielaborato da mille autori ma in fondo sempre uguale a se stesso.
Sia ben chiaro, ce ne fossero a decine di film così. Tuttavia è lecito richiedere qualcosa in più, aspettarsi un passo in avanti, una nuova prospettiva di indagine della società americana. Senza dubbio di registi e di sceneggiatori che tentano strade ancora non percorse dalla cinematografia hollywoodiana, che rischiano con coraggio, che propongono punti di vista originali e conclusioni non scontate, ne esistono eccome; e allo stesso tempo, forse, non è il “mestierante” Cooper, ottimo confezionatore e pregevole narratore (ricordate Crazy Heart con Jeff Bridges?), il regista giusto da cui aspettarsi e a cui chiedere un lavoro del genere; però guardando Out of the Furnacesi ha la forte sensazione del “già visto”, di un compito perfettamente svolto secondo i dettami della recente tradizione, ma senza una vera e propria anima.
Nel dramma familiare violento portato sullo schermo dal regista, al cui centro è posto lo stretto legame tra due fratelli, uno appena uscito di prigione, l’altro appena tornato dalla guerra, nonché l’opposizione tra due diverse anime della società e della cultura americana, tutto è reso senza sbavature: regia solida, compatta che non accenna perdite di ritmo; attori straordinari, pregni di verità e capaci di ogni piccola sfumatura; una sceneggiatura che non si perde per strada storie e personaggi e che sa dare unità ai tanti (forse troppi) discorsi portati avanti nell’evoluzione narrativa.
Si sente il presente dell’America con la sua crisi economica, si avverte il suo passato, la sua tradizione, la sua cultura e vengono mostrati in maniera efficace le contraddizioni della sua società. Purtroppo però, si vede solo la mano di un grande artigiano e non di autore in grado di infondere un tocco personale al suo lavoro. Rimangono comunque impresse le splendide atmosfere, permeate di dolore e di dramma; rimane l’affascinante cornice del paesaggio americano, qui diviso tra metropoli e mondo rurale; rimangono altresì le performance impressionanti dei protagonisti, da un Christian Bale ancora in stato di grazia passando ad unCasey Affleck mai così bravo ed arrivando infine ai magnifici comprimari Willem Dafoe, Woddy Harrelson e Forest Whitaker. Però, per assurdo, tutto questo è ancora troppo poco per attestareOut of the Furnace nell’eden del grande cinema.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net