Magazine Diario personale

Padri e figli

Da Bartleboom
Io e Francesco ci conosciamo dai tempi di scuola. Abbiamo condiviso per cinque anni lo stesso banco al Liceo Classico. Cinque anni, sempre lo stesso banco, il terzo della fila sinistra, accanto alla finestra. Ci piaceva ogni tanto buttare lo sguardo sui pini di piazza della Vittoria. Lui sapeva tradurre dal greco da Dio, ed era in generale uno dei migliori in quasi tutte le materie.Ci piacevano gli stessi sport, quasi sempre la stessa musica, le stesse battute, il medesimo senso dell'umorismo. Bastava uno sguardo per capirsi al volo. Un'amicizia che dura una vita, fatta di parole dette nella quantità appena bastante. Ma è così per noi.Siamo stati al primo concerto di Bruce Springsteen nell'85 a San Siro, ci siamo visti insieme non so quante volte i concerti di Guccini, Vecchioni, De Gregori, Fossati, e compagnia. Soprattutto abbiamo passato pomeriggi meravigliosi a casa sua, in una zona periferica e allora quasi di campagna, che aveva un cortile e un grande orto. C'era un canestro da basket, di quelli veri, ed era fantastico sfidarci uno contro uno tipo playground americano. E poi le partite a ping pong, e quelle a tennis, in quel campo disegnato su una strada d'asfalto che rimase chiusa per anni e anni. Sembrava messa lì giusto per le nostre partite.L'altro giorno sono tornato in quella casa dei suoi genitori, ed era ancora tutto come allora, a parte la ragnatela di strade e fabbriche che ci hanno costruito intorno, e a parte il canestro da basket che non c'è più.E l'altro giorno ci ha riempito di tenerezza vedere i nostri figli, il mio ometto grande e il suo, giocare a calcio, inseguirsi con le biciclette, fare le prove di una amicizia da giochi di cortile, proprio in quel cortile in cui la nostra amicizia si è ritagliata i ricordi più intensi e vivi. Due bambini timidi e introversi che quando stanno insieme sembra, come per magia, non abbiano muri da superare. Davvero a somiglianza dei padri.

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