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Paestum 2012: l’autorità come pratica politica delle donne

Da Femminileplurale

Cartolina da Paestum

«Il gruppo numero nove è stato combattuto e interessantissimo. Nel nostro gruppo ha prevalso il tema del lavoro sul quello della rappresentanza. Era veramente un gruppo il femminismo radicale, e con questo io mi trovavo in profonda sintonia. Dobbiamo inventare politiche che siano radicalmente innovative rispetto alla macchina dei partiti e rispetto anche a un certo numero di istituzioni che diventano fonte di scandali e di vergogna. Riflettendoci dopo, io ho visto che lì a Paestum ne avevamo già la realizzazione. Le donne del gruppo numero 9 chiedevano un riconoscimento reciproco di soggettività, dicevano no all’autorità. È il tema della rivoluzione simbolica, il valore. Quando io scrivo Dio è violent* non penso che si va menar le mani! Penso che bisogna acquistare una forza simbolica per tenere testa al potere dei potenti. E per avere questa forza simbolica ci vuole il riconoscimento reciproco, che loro chiedevano, che hanno ottenuto, e che io ho ottenuto. [...] Ma il senso che lì c’era pensiero e autorità femminile l’abbiamo avuto tutte, palpabile».

Luisa Muraro, videointervista alla Libreria delle Donne

Paestum, sabato pomeriggio, 5 ottobre. Dopo la plenaria, ci troviamo nel gruppo autogestito numero nove, che abbiamo scelto per parlare di economia, lavoro e lotta con Luisa Muraro.

In diverse decine si sono già sedute, mentre altre donne continuano ad arrivare. Si chiacchiera indugiando con gli occhi per aria e su di noi, aspettando che Luisa apra le danze: «Guardate che qui è tutto autogestito» ci dice a un certo punto, «non c’è mica nessuno che conduce… coraggio! Avanti! Chi comincia?».

Ilaria Durigon (Femminile Plurale) rompe il ghiaccio riprendendo il tema già lanciata in plenaria: la centralità del precariato come condizione esistenziale – determinante quindi nella vita delle donne -, è assodata solo per noi giovani donne, o anche per il “movimento femminista” tutto?

«Tu guardi me, ma devi rivolgerti a loro. Cos’è che stai chiedendo?» risponde Luisa Muraro. Ilaria non molla e torna a incalzarla: «Vogliamo sapere se anche le “storiche” condividono l’urgenza di liberare la donna dalla violenza e dalle forme deviate di potere insite nei rapporti di lavoro precari. Come si fa a parlare di autodeterminazione senza affrontare questo aspetto? Cosa si può fare per…». «Domandatelo. E fai una proposta!» interrompe Luisa che, per allontanare l’attenzione da sé stessa, si rivolge a tutte noi: «Ilaria chiede cosa si può fare».

Il collettivo Diversamente Occupate di Roma inizia ad esporre la propria battaglia per il reddito di esistenza: distinguere il lavoro dal reddito, smettendo così di delegare esclusivamente al lavoro la definizione dei margini entro i quali identificarsi e utilizzando il reddito garantito come uno strumento di autodeterminazione. Dal reddito di esistenza, passando per quello di cittadinanza, qualcuna nel gruppo nove arriva a nominare il reddito minimo garantito. «Ancora?!» sbotta quasi subito Luisa, «ne abbiamo parlato per anni! E poi, i “questi” che in più d’una affermate ricattarci – attraverso le condizioni lavorative e il sistema di welfare impostato sul modello maschile – in definitiva chi sarebbero? Chi?». I poteri forti, lo stato, chi ha facoltà di emanare le leggi, sono state solo alcune delle risposte che hanno portato a menzionare, a un certo punto, la lotta di classe: «Ma che lotta di classe!», nuova interruzione della Muraro. «I supersfruttati oggi sono gli immigrati, cinque milioni solo in Italia, e non appartengono a nessuna classe. E il reddito minimo garantito non è una battaglia femminista, ma di donne e uomini insieme».

L’aria si fa pesante e alcune iniziano ad esprimere apertamente la propria difficoltà nel continuare a discutere secondo queste modalità di “botta e risposta”, che più che “one to one” stanno progressivamente assumendo le forme dell’una contro tutte o, come qualcuna afferma, dell’”una di qua dalla cattedra e tutte le altre al di là”.

«Possiamo evitare di interromperci in questa maniera, per cortesia?» chiede a un certo punto Laura Capuzzo (Femminile Plurale). «Nessuno sta interrompendo. Chi è che interrompe?» ribatte Luisa, sfidandoci tutte. «Tu per esempio, Luisa», risponde Laura.

La Muraro ha fretta di riprendere a parlare dei temi e ci prova ora approcciando direttamente questa o a quella compagna con domande su lavoro e occupazione, incitandole ad esprimersi nel merito, ma molte donne non sono più con lei e le esternano il proprio disagio per quello che sta succedendo, rifiutandosi di intervenire nella discussione a quelle condizioni. La tensione raggiunta porta in pochi minuti a un passaggio di testimone che avviene in maniera tanto tacita quanto repentina: il ruolo di moderatrice del gruppo (la persona che prende nota della lista degli interventi) passa a Federica Giardini.

La frattura inizia a ricomporsi, anche se con fatica. Il grado di conflittualità si abbassa ma quello che è successo non passa via come l’acqua e, al di là dei contenuti su economia e lavoro che animano la discussione nel resto di pomeriggio, è un altro ormai il tema centrale: Il femminismo sconfessa, e lo fa come suo presupposto fondativo, qualsiasi tipo di potere precostituito. Maschile o femminile che sia.

La stessa Muraro sente alla fine dell’incontro di voler interpretare con tutte le donne presenti quando accaduto, concludendo i lavori con una chiosa sul concetto di autorità femminile. «Le dinamiche che hanno interessato questo gruppo oggi ci riportano al tema della rivoluzione simbolica e alla dimensione dell’agire politico con la forza dell’autorità, invece che con quella del potere. La politica del simbolico è importante da acquisire nella pratica di parola e l’agire con la forza dell’autorità è una pratica politica della donne» afferma Luisa facendo autocritica e sostenendo apertamente chi ha agito il conflitto rispetto al suo modo di porsi: «Avete fatto bene. Le cose si cambiano proprio in questo modo, con il coraggio di dire no quando non si è d’accordo, anche se davanti a noi abbiamo qualcuno che gode di una forte reputazione e indipendentemente dai suoi meriti o demeriti. Se si percepisce una mancanza di riconoscimento reciproco, si deve dire “no”».

*   *   *

Paestum 2012: l’autorità come pratica politica delle donne
Quello che è accaduto nel gruppo numero nove a Paestum mostra l’intreccio tra teoria e prassi. Muraro sostiene un femminismo della differenza dove l’agire politico è basato non sulla rivendicazione di parità con l’uomo, ma sull’autorità radicata nella genealogia materna e nella necessità della mediazione femminile.

Potere e autorità sono due concetti radicalmente distinti. A differenza della posizione della Arendt che faceva dell’autorità il fondamento trascendente del potere, configurandosi quindi o come autorità religiosa o come autorità della tradizione, Muraro slega completamente i due concetti facendo dell’autorità ciò che si contrappone al potere. Se il potere si esercita come una verticalità immediata, l’autorità è orizzontalità mediata. Se il primo implica un rapporto di subordinazione, la seconda è invece essenzialmente una relazione che si realizza sullo stesso piano. Tale relazione orizzontale si esplica nel riconoscimento reciproco, fondamento autentico dell’autorità stessa. ed è qui, proprio all’altezza del riconoscimento che il discorso sull’autorità diventa discorso sulle donne, in particolare di quelle donne che, staccate dagli stereotipi, sono state in grado di fondare nuovi ordini simbolici. Capacità questa, connaturata al femminile stesso, al rapporto peculiare che esso istituisce con il mondo: un misurarsi con esso che non è mai dismisura, una capacità di contrattazione che non è mai sopraffazione.

Per chi volesse approfondire alleghiamo un suo saggio del 1994, “Autorità senza monumenti” [1], in cui per l’appunto Muraro parla della tendenza per chi vive in Occidente a confondere il significato di autorità con quello di potere, in una civiltà in cui “…i maestri di scuola, oltre a insegnare, bocciano, e i giudici, oltre a giudicare, condannano, e i più pensano che ciò sia naturale. Si tratta invece di una realtà storica”.

Uno scadimento culturale e metodologico che la filosofa collega alla miseria simbolica di cui soffre la nostra civiltà, miseria che la allontana dal senso dell’autorità. Muraro riconduce questo senso alla genealogia materna, gli attribuisce infatti “una sua risorsa autonoma e permanente in quel fatto naturale dell’umanità che è l’apprendimento della lingua materna”, e ne afferma la originaria connotazione non come “autorità propria o altrui”, ma come “qualità relazionale”.

Ricordandone la radice dal latino augere, cioè accrescere, Luisa Muraro definisce il senso di autorità con queste parole: “…una competenza simbolica, quella di commisurarsi col reale, in uno scambio di senso e di valore che arricchisce qualitativamente la nostra esperienza”. Nella necessità delle mediazione, secondo lei, “…riposa il senso ultimo dell’autorità, in mancanza della quale quello che si esercita è un potere”.

È prevedibile che alcune donne possano aver visto nel passo indietro di Luisa non un mea culpa, ma piuttosto un “contentino”, per gentile concessione. Ma vogliamo augurarci che rileggere quanto avvenuto lo scorso sabato a Paestum in questa chiave interpretativa, possa restituire senso a un’esperienza comunque importante, che in tante hanno vissuto con disagi ma che, e non solo a detta nostra, ha segnato una sorta di prima e dopo

Sentiamo comunque di voler dare un suggerimento pratico per il prossimo anno (perché vogliamo credere che ci sarà un Paestum 2013), circa le modalità di intervento e discussione, proprio per ovviare alla mancanza di punti di comunicazione e contatto nel dialogo fra noi che molte hanno avvertito (una compagna ha parlato di “mancanza di sguardi di intesa” fra le donne del gruppo), e che avrebbero percepito probabilmente anche in assenza del nodo autorità/potere.

Proponiamo quindi uno sforzo per condividere dei codici di linguaggio, che permettano soprattutto a noi giovani donne di intendersi sul senso attribuito alle parole, o almeno a una selezione di termini: precariato, reddito di cittadinanza, lavoro, etc. etc. Una sorta di mini glossario in grado di evitarci ore di fraintendimenti nello sforzo di concordare e “tradurre” tra noi basi concettuali e linguistiche, specie in contesti assembleari autogestiti come quello di Paestum che sono i meno adatti a questo tipo di lavoro, che andrebbe invece fatto prima e in un’ottica preparatoria agli incontri nazionali.

L’altro suggerimento riguarda nello specifico le modalità di dialogo nel corso dei gruppi di lavoro.

Il parlare una alla volta senza di fatto far esplodere mai per davvero il contraddittorio, evita certo la sovrapposizioni di voci e garantisce il rispetto della libertà di espressione e parola di ciascuna. Nutriamo però seri dubbi sul fatto che questa modalità aiuti a far chiarezza nelle questioni (spesso molto complicate) che vengono trattate. Chiediamo quindi che si studi la possibilità di lasciare spazio a scambi verbali più articolati e compiuti anche fra due singole persone, nella misura in cui permettono la sana evoluzione del dibattito e perciò realizzano l’interesse collettivo di una maggior comprensione delle questioni.

Dunque il workshop del sabato pomeriggio a Paestum ha visto un conflitto forte, una profonda discussione su precariato, lavoro, reddito, e infine la riflessione conclusiva su autorità e potere. Come afferma Luisa Muraro sempre nella videointervista alla Libreria delle Donne:

«Paestum a ripensarci: l’ho detto alle organizzatrici, che lo sapevano, io ero esitante – ho detto, avete vinto la scomessa. La scommessa non era far valere una tesi piuttosto che un’altra ma la scommessa era di riunirsi tante donne, tante generazioni, e poter discutere liberamente, apertamente».

[1Allegato: Luisa Muraro, “Autorità senza monumenti”


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