Quando scrivi un libro e lo ambienti in un luogo, praticamente dimori in quel luogo per tutto il periodo della scrittura. E’ per questo che mentre volo sul piccolo ATR ad eliche di Meridiana ho quasi l’impressione di tornare a casa e non di andare in vacanza. Mi è tutto familiare come se non fossi mai andata via.
Il pilota sbaglia il primo atterraggio e risale. L’isola è coperta di nuvole. La hostess, un’improbabile hostess vikinga e tarchiata di origini tedesche ci annuncia che non è stato possibile atterrare. Mi accorgo solo ora che davanti a noi viaggia un ministro perché gode di un’informazione riservata da parte del comandante. Forse delle scuse.
Ci riproviamo. L’effetto dell’atterraggio è che un istante sei a duecento metri da terra e poi non sei tu che scendi ma la montagna che è al tuo livello. La pista è cortissima, si tocca terra e poi si frena.
Terra. Pantelleria. Quel nome che quando lo dici subito tutti pensano ad una vacanza da ricchi. Mi fa sorridere questa cosa. Per la verità l’impressione che ho è che Pantelleria versi in stato di parziale abbandono e affermalo il 5 agosto è inquietante. Non certo per i turisti, quanto per chi ci abita tutto l’anno.
Capire Pantelleria non è semplice. C’è anche chi è venuto fin qui e non sapeva che non esistono spiagge e così, alla fine, preferendo la comodità della sabbia agli spigoli degli scogli, negli anni successivi preferisce altre mete. Qui non arrivano nemmeno i barconi dei profughi. Non c’è dove attraccare, ma da qui ogni giorno la Capitaneria di Porto va ad aiutare quella di Lampedusa. Anche a raccogliere i cadaveri, come ieri.
Sul volo Palermo Pantelleria (che per la cronaca costa un centinaio di euro, a costare un po’ di più è la tratta Continente-Sicilia, alla faccia della promozione turistica, sia che si voli, sia che si venga in nave, sia che si sia così folli di scendere in macchina come stavo per fare io alla fine) la rivista di Meridiana mi annuncia ogni tre pagine della vendita di appartamenti in resort mozzafiato, ville “pezzo unico” in Sardegna. Porto Cervo. Con tanto di foto e rendering. Sostanzialmente la confessione di una cementificazione selvaggia su carta patinata. La costa sarda. E sappiamo anche chi, come cosa e quando.
A Pantelleria questo non può accadere. Nessun folle verrebbe a costruire ville e resort qui. Non ci sono accessi comodi al mare. L’isola ti rifiuta, è repulsiva. Non possono nemmeno inventarsi una spiaggia finta con villaggio come hanno fatto a Favignana.
A., che ci affitta la macchina, ci fa notare che stanno ricostruendo l’aereoporto.
“Che bisogno c’era di allargare l’aereoporto che viene usato, se va bene, due mesi all’anno. Con tutte le cose che servirebbero.”
“Cosa servirebbe?” Chiedo.
Sorride, scuote la testa.
“Aggiustare certe strade, costruire servizi….anche per i turisti. Qui d’inverno non c’è nulla. Il niente.”
A Pantelleria d’inverno, mi dice una ragazza, poi la sera, c’è solo il carnevale che si balla il liscio. E io che scrivo un libro, ma è un pensiero distratto, ironico, incondivisibile. Talmente cretino da non essere nemmeno narcisistico.
“A chi piace, però. Se non ti piace il liscio resta solo il karaoke.”
Lei ha studiato a Napoli. Ovviamente non ha trovato lavoro e ovviamente è tornata qui.
La verità è che a Pantelleria ci sono pochissimi turisti. Qualcuno dice che è colpa del costo dei voli. Qualcuno, la ragazza della trattoria, dice che “No, non sono i voli che costano troppo. E’ l’isola che non va più bene.”
Mi verrebbe da dire che non va più bene per i tempi che corrono, per i tempi in cui un luogo di vacanza deve avere una discoteca con il buttafuori e la lista e il privè. O per lo meno con il milanese che è rimasto qui, ha aperto un locale e fa l’aperitivo la sera e se non ci vai sei out. Qualche bar fighetto e ristrutturato. Niente. Qui non c’è nulla di tutto questo se si esclude la Nicchia a Pantelleria e O Friscu a Scauri.
Alla fine ho rinunciato alla presentazione del libro al Castello. Optato per un incontro ristretto e deciso che tornerò in inverno, alle soglie della primavera, almeno per coerenza con il titolo che ho dato al libro. Così la facciamo per l’isola e non per i turisti.
Il primo tratto di perimetrale è un necrologio di cemento e alluminio anodizzato. Vento e mare provano a buttarli giù con l’effetto che il tutto sembra diroccato e in stato di abbandono.
Sulla strada decine di dammusi in vendita. Eppure, questa solitudine turistica (ora arrivano le due settimane centrali di agosto e le cose cambieranno) non riesce a rendermi felice come dovrebbe perché l’impatto sull’economia locale è evidente e stride con l’idea che tutti hanno di quest’isola.
La verità è che la natura dell’isola ha attratto, tra i vip, gente sobria e senza troppe manie di grandezza. Persino Armani, l’ospite più ingombrante dell’isola per “nome”, viene qui per rifugiarsi e stare in pace, certo non per fare feste o far parlare di se. Sull’isola tutti lo amano, anche perché ha pagato un bel pezzo di ospedale tra cui l’attrezzatura per la Tac e per le mammografie che significa che le fai qui e non in Sicilia. Sobrietà e calma. Il piccolo alimentari di Rekhale è gestito sempre dalla stessa vecchia signora. Che le suona il telefono e si intrattiene con qualcuno dall’altra parte mentre c’è una piccola fila di tre clienti. Domanda. Risponde. Si informa di salute e di studi. A nessuno di noi salta nemmeno in mente guardando la vecchia cornetta del telefono della SIP di metterle fretta. Qui è così. E te lo devi fare andare bene.
La luce, il blu intenso, il verde. Soprattutto un silenzio profondo, che si annida ovunque.