Anna Lombroso per il Simplicissimus
Finalmente una di quelle “contro-notizie” che vanno contro a usi, tradizioni, eventi considerati naturali: l’uomo che morde il cane, l’onesto che ruba al ladro.
Stavolta a andare al contrario è il nepotismo. Apprendiamo infatti che a ridosso della nomina a influentissimo ministri della Repubblica, l’orgoglioso papà della ministra Boschi, già presidente di Confcooperative Arezzo è stato nominato per acclamazione vice presidente della Banca Etruria. Scelto insieme al cda “per affrontare il futuro dell’istituto bancario aretino”, recita il comunicato ufficiale e infatti chi meglio di un famiglio in senso stretto del governo per promuovere uno di quei sinistri matrimoni e inquietanti vincoli tra istituti, stretti per nascondere malefatte, spazzare polvere sotto i tappeti? E Banca Etruria proprio in questi giorni è oggetto di “interesse” da parte della Banca Popolare di Vicenza del patron Zonin in esclusiva fino al 30 maggio.
E poi non venitemi a dire che non è innovativo questo giovane e dinamico ceto politico con le sue rottamazioni “bonarie”: babbi promossi a banchieri; neo-familismo che vede i figli collocare i padri – e aspettiamo le quote rose con brillanti avanzamenti delle mamme. Restano nella tradizione rubando ai poveri per dare i ricchi e nel muovere una lotta di classe anche quella alla rovescia e cruentissima, di chi ha contro chi non ha.
Finiti sono i tempi arcaici di accademici che lasciano cattedre per li rami, in nome di oscuri ma rivendicati diritti dinastici, finiti i tempi delle ministre che mettono su una fondazione per favorire la carriera delle delfine, finiti i tempi di chirurghi jr. che operano sotto l’occhio non abbastanza vigile di papà e magari dimenticano le pinze negli anfratti del paziente. E finiti anche i tempi di nonni che con la pensione aiutano i nipoti, padri costretti a lasciare posti di lavoro per incoraggiare il benefico avvicendamento, finiti i tempi che gli anziani si dichiaravano orgogliosi di lasciare agli eredi più di quanto avevano trovato.
Adesso vale l’inverso, ma solo se si appartiene alle nuove “famiglie”. I poveracci restano tali, seduti sulle panchine e riluttanti per motivi economici anche a offrire le briciole di pane ai colombi. E come tante volte è stato caldeggiato da alti esponenti della cupola globale, Fmi, Ue, troike, meglio se si tolgono di torno, che la loro sopravvivenza rappresenta un costo insopportabile ai danni dello sviluppo.
Se invece si è provveduto a tirarli su bene i giovani virgulti, in una bambagia, fertile humus di ambizione, indole all’affermazione di sé, istinto alla disinvolta competitività, allora si che si possono coltivare buone aspettative di matura carriera, grazie alla protezione e alla filiale solidarietà di una generazione che ha conosciuto e apprezzato per lo più modelli di sfrontato arrivismo, di spericolata attitudine all’opportunismo, di gioioso esercizio di cinismo. E dire che c’è ancora chi crede che queste ragazze siano in qualche modo vittime accondiscendenti di format autoritari e sessisti, che approvano e fanno propri piegando caratteri di genere, emotività e sensibilità alle regole dell’egemonia maschile. In tempi di ampia possibilità di scelta, per chi gode già di privilegi soltanto, è ovvio, si potrebbe anche decidere per l’autonomia, per la trasparenza, anche per la ribellione.
Ma le pimpanti signorine del governo e del ceto politico, in tutta libertà, hanno scelto per profitto, potere, arroganza, disprezzo delle regole morali ancorché legali, proprio mettendo a frutto la retorica e la folta letteratura che le vorrebbe gregarie, subalterne, belle figurine a corredo dei fratelli o dei padri padroni, al punto che sono loro a promuoverne insperate carriere. A volte viene da pensare che il completo affrancamento delle donne avverrà quando – come per altre forme di prostituzione intellettuale molto in voga tra i maschi – potrà essere rivendicata una carriera irresistibile maturata non attraverso competenza, studio, impegno, ma nel contesto dei letti giusti.
Il fatto è che la loro emancipazione passa per la nostra servitù, ancor più di noi donne, costrette a vergognarci di loro.