Papa Francesco e José Mujica tra i latinos più influenti del 2013, secondo Foreign Policy
Creato il 10 dicembre 2013 da Rottasudovest
La rivista Foreign Policy pubblica nel suo numero di dicembre la lista dei pensatori che più hanno influenzato il 2013. Molti
anglosassoni, moltissimi asiatici, vari europei (tra loro l'unico italiano è
Mario Draghi) e pochi latinoamericani. Ma questi ultimi sono di quelli pesanti.
Ci sono quattro Presidenti della Repubblica, il messicano Enrique Peña Nieto,
il colombiano José Manuel Santos, la brasiliana Dilma Rousseff e l'uruguayano
Jose Mujica. E c'è, soprattutto, Papa Francesco, l'uomo che sta rivoluzionando
la Chiesa Cattolica. Di lui Foreign Policy spiega che è nella lista
"perché sta portando la Chiesa nel XXI secolo" e spiega che è come un
uragano, che sta "sfidando la base conservatrice della Chiesa"; Papa
Bergoglio ha "portato vigore e rilevanza a una Chiesa vista sempre di più
come scollegata dal mondo".
Peña Nieto si è fatto notare "per aver dato una scossa alle moribonde
istituzioni del Messico", con una serie di riforme nell'istruzione, nelle
telecomunicazioni, nell'energia e per aver cercato un dialogo reale con
l'opposizione; del 47enne presidente messicano, la rivista sottolinea anche
l'impegno contro il narcotraffico, gli sforzi per garantire la sicurezza
attraverso le istituzioni e la crescita economica, "che rafforza i rapporti con
gli Stati Uniti".
Dilma Rousseff ha conquistato l'attenzione di Foreign Policy per aver rimproverato aspramente gli Stati Uniti, con un durissimo discorso alle Nazioni Unite, per il sistema di spionaggio denunciato da Edward Snowden. Nessuno è stato duro come lei, che ha anche cancellato un pranzo ufficiale in segno di protesta, ammette la rivista. "I suoi impulsi anti-autoritari sono convenientemente legati al desiderio del suo Paese di mostrare i muscoli e rappresentare i desideri della regione"; in più Rousseff appartiene a una generazione di leaders latinoamericani che ha sofferto sulla propria pelle le conseguenze degli interventi degli Stati Uniti nel proprio Paese e, "dopo lo scandalo NSA, non ha avuto alcun problema a ricordare agli USA che la sua epoca di dominio sull'America Latina è finita".
Il colombiano Santos entra nella lista per "rischiare il tutto per tutto
per mettere fine alla guerra civile nel suo Paese", grazie al negoziato
per la pace con le FARC; "la resistenza alla sua offensiva di pace sta
crescendo", ma, anche se i punti in agenda sono insidiosi, il presidente
"va avanti"; se non otterrà risultati perderà la rielezione, ma
"se avesse successo, potrebbe dare alla Colombia la pace, per la prima
volta dopo 50 anni".
José Mujica, il presidente che ha innamorato il mondo con il suo discorso sulla felicità a Rio de Janeiro e che stupisce i media perché vive in una piccola
tenuta con 1700 euro al mese, dando il resto del suo stipendio presidenziale in
beneficenza, è presente "per aver ridefinito la sinistra in Latinoamérica".
Dopo la morte di Hugo Chávez, si presenta come "un nuovo e inaspettato
pioniere", colui che "ha dato il via a un esperimento di liberalismo
sociale sena precedenti in America Latina"; ci sono la legalizzazione
dell'aborto, il riconoscimento del matrimonio omosessuale, la prossima legalizzazione
della marijuana; un'agenda politica "controversa, che ha raccolto tanti
detrattori quanti ammiratori" e che ha "generato un nuovo dibattito sul
futuro della sinistra latinoamericana. Al rompere con l'aperto antiamericanismo
di Chávez e con il conservatorismo sociale così presente in Latinoamérica, sta segnalando
una possibile via di futuro per i suoi compagni".
Latinoamérica come laboratorio per la pace, per le riforme, per la giustizia
sociale, che non rinneghi i valori del mercato e che insista sulla parità di opportunità.
Chi lo avrebbe detto.
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