Non è la prima volta che papa Francesco parla di dialogo con l'islam e per la verità la tendenza e l'apertura al dialogo interreligioso lo si ricorda dai tempi del papa Giovanni XXIII: da allora i papi che si sono succeduti allo scranno del Vaticano hanno sempre tenuto una posizione in qualche misura aperta verso le altre principali religioni monoteiste.
Oggi papa Francesco ha incontrato gli esponenti del pontificio istituto di studi arabi e di islamistica (Pisai) in occasione del cinquantenario della fondazione ed in questa sede ha ribadito la propria apertura al dialogo con l'islam, sottolineandone anzi la necessità, come improrogabilità dell'esigenza di formare operatori esperti e capaci di tessere un dialogo con l'islam.
Francesco, lo ricordiamo, aveva già incontrato gli imam francesi all'indomani del sanguinoso attentato al Charlie Hebdo, attirandosi le ire della destra leghista.
Nell'occasione odierna il papa sottolinea l'importanza di tenere una posizione di "umiltà e pazienza" nel ricercare l'incontro e la comprensione con gli islamici, perché solo dall'incontro nasce la possibilità di un confronto che arricchisce e può condurre alla pace.
La platea a cui il pontefice si è rivolto era composta da persone appartenenti sia alla religione cristiana che islamica. Al riguardo va ricordato che gli imam francesi hanno espresso a suo tempo la propria ferma condanna degli atti terroristici, ma che tutti gli esponenti religiosi, compreso il papa, hanno segnalato l'imprescindibilità del rispetto delle fedi religiose nell'esercizio della libertà di espressione.
Qualche considerazione: si può essere o meno d'accordo con le posizioni espresse dal pontefice, ma quello che è certo è che si tratta di una voce fuori dal coro, affidata al vento proprio nel momento in cui la violenza imperversa (vedi la vicenda degli ostaggi giapponesi in mano all'Isis) e l'occidente si trincera nella caccia al terrorista. Il messaggio del papa non appartiene alla categoria di quelli che strumentalizzano la situazione per fomentare guerre e stringere alleanze in funzione di propri precisi interessi economici e territoriali, ma si spinge oltre la contingenza del momento attuale, proiettando lo sguardo verso quello che potrà essere il futuro. Non tutti i mussulmani sono fanatici e fingere di credere il contrario è un modo per fare il gioco del terrorismo.
Il fanatismo è una degenerazione che può essere presente non solo in tutte le religioni, ma in tutte le ideologie.
Se è vero (come è vero) che il problema è la violenza legata a forme di estremismo e fanatismo, piuttosto che la religione islamica come tale, si tratta di decidere a chi fare la guerra, le possibilità sono due:
- se si dichiara guerra alla violenza, allora la strada per vincere questa guerra è quella del dialogo e della pacificazione,
- se si dichiara guerra ai mussulmani, allora si riprodurrà violenza con conseguente proliferare di fanatici nella estremizzazione ed esacerbazione dei conflitti. In questo caso naturalmente soccomberanno prima i deboli ed innocenti (per primi i palestinesi rinchiusi da sessant'anni nel filo spinato) mentre i forti continueranno ad estremizzarsi ed a nutrire ambizioni di riscatto, per tacere della sete di vendetta.