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Parte Prima: Iron Maiden, dal sogno seventies agli incubi anni ’80!

Creato il 07 dicembre 2011 da Postscriptum

Parte Prima: Iron Maiden, dal sogno seventies agli incubi anni ’80!

Una delle band più colte del panorama heavy anglosassone, i loro testi sono spesso ispirati dai capolavori della letteratura britannica (Bruce Dickinson è laureato in Storia), musicisti estremamente tecnici ed eclettici…quante altre qualità dovrò elencare per cercare di convincere il lettore di questo Post che quando si parla di Iron Maiden, non si sta facendo riferimento al solito gruppozzo di metallari ubriaconi?

Non è importante comunque, perché oggi ho deciso di incentrare il mio focus sul primo album di questa straordinaria band: l’omonimo Iron Maiden!

Fu pubblicato nel 1980 dopo serie difficoltà e dinieghi da parte delle case discografiche. Nel mondo del rock adesso era di moda il Punk, e questi tipetti dalle mani precise e velocissime non erano l’ideale per emulare il rozzo sound dei Sex Pistols. Inoltre, per meglio capire che tipo di background ci fosse, bisogna prendere in considerazione proprio ciò che causò la reazione di Rotten, Vicious e amici: il rock pomposo di fine anni ’70, quello denso di momenti onirici e leggiadramente poetici, si era concluso. Gli Yes, i Genesis ed il Prog cui spesso si sono ispirati gli Iron Maiden stessi, aveva decisamente terminato il suo ciclo. Al bassista Steve Harris sembrò naturale trasformare tali sogni musicali in veri e propri, reali, terribili, incubi.

In questo c’è la chiave di lettura dei loro horrorifici testi, del contesto grafico (mi riferisco alla loro eterna mascotte Eddie The Head), delle  lugubri citazioni e demoniache allusioni. Che poi questo nuovo modo di vedere le cose si chiamasse Heavy Metal, e che la stessa band facesse parte di una corrente denominata New Wave Of British Heavy Metal (NWOBHM), non penso importasse tantissimo ai cinque componenti iniziali del gruppo. Probabilmente anche loro avevano ascoltato i seminali Angel Witch (link), Diamond Head (link) e Saxon (link), ma Harris era troppo colto per curarsene troppo.

Loro prendevano le mosse dal progressive anni ’70. Andatevi a sentire Sweet Dream (link) dei Jethro Tull (di cui i Maiden rifecero una bellissima Cross Eyed Mary, link), o Heart of  The Sunrise (link) degli Yes. Nel loro background ci sono i Queen (link), i Black Sabbath (link) (specie del periodo Dio), gli Uriah Heep (link), I Led Zeppelin (link) (Achilles Last Stand, link, avrà risuonato parecchie volte nei padiglioni auricolari di Harris), i Deep Purple di Highway Star (link) o di Burn (link), gli Who (link), i Samson (link) (dove cantava ancora un certo Bruce Dickinson)…e soprattutto un’altra band che menzionerò a tempo opportuno (chi mi conosce ha già capito).

Dalle ceneri di questo grande falò, la terribile fenice che risorge è la Vergine di Ferro: Steve Harris al basso, Dave Murray chitarrista storico, Dennis Stratton (in verità dimenticabilissimo) all’altra chitarra, l’ex Samson Clive Burr dietro le pelli (oggi tristemente affetto da sclerosi multipla) ed un grande cantante dalla voce calda e bluesy Paul Di’Anno.

L’album fu registrato in appena una quindicina di giorni e risente di una scarsa qualità audio, ma è comunque glorioso e imponente. Si inizia con Prowler (link) (evito di dirvi che è di Harris, perché nella discografia dei Maiden, sono poche le cose non aventi paternità nel bassista), pezzo divertente che parla di un tizio ubriaco e vagamente pervertito che se ne va in giro per la città a stuzzuniare le ragazze (Well you see me crawling through the bushes with it open wide. What you seeing girl? Can’t you believe that feeling, can’t you believe it, Can’t you believe your eyes? It’s the real thing girl. Got me feeling myself and reeling around … chissà che gli mostrava il porcelluzzo???). Musicalmente ha il piglio punk, e forse è per questo che apre l’album. Probabilmente una concessione ai discografici che li volevano più morbidi e di tendenza. Il riff con il wha wha è ormai storico ed il pezzo fila via, aggressivo e diretto, per un’apertura scoppiettante. Gli attacchi a doppia chitarra in ottave diverse (soprattutto nella fase pre-assolo) dovrebbero già essere il primo potente indizio, per scoprire quale band poco prima non ho citato.

Ma andiamo avanti, dopo Remember Tomorrow, dark ballad sabbathiana con sfuriata di chitarre a centro brano non troppo originale ad essere sinceri, si passa a Running Free (link), quasi sempre presente nelle scalette dei concerti. Protagonista assoluto è il basso, sin dall’introduzione, ma le solite due chitarre appaiate sono sempre più marcatamente presenti. Quello che accade da 1.13 è epocale e caratterizzerà per sempre il ben noto sound della band. Semplicemente grandioso, magnifico, peccato che non sia affatto farina del loro sacco. Cercate un brano qualunque dei Thin Lizzy (toh, vi segnalo Massacre, link) e scoprirete che gli Iron Maiden (che tra l’altro rifaranno anche massacre [link] e non hanno mai negato l’amore per la band irlandese) esistevano già, erano soltanto un tantino meno cattivelli. Le cavalcate di basso in stile Harris erano già cosa nota (nei giri di Phil Lynott), per mezzo di brani Angel From The Coast (link) o King’s Vengeance (link). Emerald (link) è un pezzo dei Maiden ante-litteram (evidenzio da 2.00); ma la discografia dei Thin Lizzy non è argomento di questo post.

Fine Prima Parte (appuntamento a domani)

parziali e momentanei saluti

Babar da Celestropoli


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