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Parti maledette

Creato il 02 febbraio 2012 da Ilpescatorediperle
Due notizie dalla rilevanza e dal peso differenti hanno occupato le cronache italiane degli ultimi giorni. Da un lato, l'annuncio fatto da Adriano Celentano che il suo compenso per la partecipazione al Festival di Sanremo sarà devoluto in beneficenza. Dall'altro, la scoperta che l'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi avrebbe intascato 13 milioni del patrimonio dell'ex partito.Ciò che lega i due avvenimenti è il fatto che entrambi concernano il ruolo del denaro, o, più precisamente, l'atteggiamento che nei confronti di esso viene tenuto, in rapporto alla soglia tra pubblico e privato, o meglio tra celato e manifesto.Nel caso di Celentano, la questione è il modo con cui una pur lodevole iniziativa, quella di destinare un proprio emolumento a cause benefiche, viene esibita. Nel caso di Lusi, il problema è dato dall'appropriazione indebita di denaro che è stata, non serve dirlo, occultata (per essere poi successivamente riportata alla luce).A me non interessa qui dare un giudizio su questi fatti quanto fare qualche considerazione su ciò che accade quando si dà a se stessi o ad altri, in questo caso del denaro (in italiano anagramma di "donare").La prima notizia sembra riguardare il dono.Il Vangelo dice: "Non sappia la tua sinistra quel che fa la destra."Il filosofo aggiunge che il dono deve, letteralmente, andare in fumo.
E invece, per un ribaltamento neanche troppo inedito, il dono è esibito, pubblicato. Ma questa malintesa pubblicità del dono diviene talmente onerosa da annullarne l'imponderabilità e l'incalcolabilità. Ciò che conta non è più il dono, ma il dire che si dona. È un fenomeno piuttosto diffuso: diamo uno sguardo alle lunghe liste dei mecenati delle università o dei musei i cui nomi sono affissi all'ingresso di ciascuno di questi enti culturali, o pensiamo ai testimonial di campagne pubblicitarie che, dice una scritta in evidenza sulle stesse, devolvono il loro compenso a questa o all'altra benemerita istituzione.Non vi è, ovviamente, nulla di male in questo, e, si potrebbe dire, è meglio voler essere ricordati per aver contribuito al bene comune che per più fatui proponimenti.Ciò che è in atto è comunque una spoliazione del dono, tale che non si capisce più se ad esserne maggiormente beneficati siano i donatori o i destinatari "naturali" del dono.Il dono è davvero un resto che non esiste, fatto di niente: ma non perché non sia rintracciabile, ma perché lo è sin troppo.Non si tratta di un fenomeno nuovo. Si consideri la munificenza regale che per secoli ha accompagnato il consolidamento del potere. Si tratta del fenomeno dell'elargizione pubblica di doni, la largitio, studiato attentamente da Jean Starobinski: "Colui che vuole far rispettare la propria autorità deve divenire un auctor, qualcuno che fa crescere (da augeo: aumenta) la prosperità attorno a sé. Egli distribuisce in abbondanza una ricchezza che deve sembrare sgorgare da una sorgente, a profusione e ininterrottamente." Laddove l'espressione chiave è data dal verbo "sembrare", che ci ricollega subito al registro dell'apparire, dell'esposizione del dono e dunque ad una finalità che va al di là del dono in quanto tale, ma è piuttosto attinente all'atto della donazione come atto eseguito pubblicalmente, diremmo pure platealmente (con tutte le sfumature teatrali del caso).Così il dono diviene (o è?) una sorta di furto. È difficile stabilire in questo quadro se sia più ciò che viene elargito o ciò che, per le mani di questa elargizione, viene tolto.Da qui la questione del maltolto. Il denaro di un partito è in fondo un dono che lo Stato fa a queste istituzioni democratiche per le loro attività. Che questo dono venga tolto e reso un patrimonio personale non è solo un reato, ma uno stravolgimento del dono in furto. Si tratta di un caso abbastanza simmetrico a quello precedente: il "dono" dei molti si ribalta nel furto di uno, laddove, prima, si parlava del dono di uno che si ribalta nel "furto" a molti. (Le virgolette servono a ricordarci la realtà e a non innamorarci troppo di questa proposta teorica: Lusi ha commesso un furto, Celentano ha elargito un dono, e questo è quanto. Ma allo stesso tempo, le virgolette ci permettono di mantenere questa proposta teorica e di riflettervi, per quel che vale).Speculare è poi il movimento stesso della donazione. Nel primo caso, il dono diviene "furto" perché si pubblicizza invece di mantenersi nel segreto, come dovrebbe essere (la frase evangelica citata allude ad un ulteriore problema, cioè al fatto che perché ci sia bontà lo stesso benefattore non dovrebbe essere troppo cosciente di esserlo, ma questo paradosso è un'altra questione). Nel secondo, al contrario, il "dono" diviene furto perché si privatizza e si occulta, cioè al contempo diviene una proprietà privata e nascosta. Evidentemente la simmetria è asimmetrica (da cui le virgolette): il furto di Lusi è reato, il "furto" di Celentano no, perché ciò che chiede in cambio del suo dono (riconoscenza, stima, incrementi di vendite del suo album, vai a sapere) non è qualcosa che si possa misurare e comminare in una pena. Eppure anche questa liquidazione del dono fa dei danni e prevede delle responsabilità, per quanto certo meno facilmente attribuibili.E tuttavia il dono si mostra ancora una volta come la "parte maledetta". Esso si scontra da un lato con i limiti umani a compiere un puro atto di generosità e con l'intreccio segreto, quanto più l'elargizione è pubblica, di interesse personale e disinteresse; dall'altro con la difficoltà altrettanto umana a rispettare la separazione tra ciò che è di molti e ciò che è personale, a non far proprio il dono altrui.
Il nodo maledetto è il vincolo di dono e di furto.
Parti maledette
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com

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