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Partiti distanti dai cittadini anche sul web. Il difficile rapporto fra comunicazione politica e strumenti digitali
Creato il 28 febbraio 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlogDa quando il candidato La Trippa s'affacciava alla finestra di casa munito di un improbabile megafono per convincere i suoi esausti condomini a votarlo, tante cose sono cambiate nello strano e complesso mondo della comunicazione politica. Eppure, per molti eletti ad ogni livello istituzionale e per la gran parte dei leader di partito nostrani il tempo pare proprio essersi fermato ai tempi di quella in fondo simpatica esortazione "Vota Antonio, vota Antonio!", denotando come anche in questo campo il nostro Paese ha bisogno di compiere parecchi passi in avanti.
Lo spunto per una ulteriore riflessione sul difficile rapporto fra la politica italiana e il web arriva dallo studio "Parlamento 2.0", realizzato dalla ricercatrice dell'Università di Roma Sara Bentivegna e presentato nei giorni scorsi alla Camera. Da cui si evince che sono ancora pochi, denotando spesso svogliatezza e quasi fastidio, i rappresentanti del popolo di casa nostra che iniziano a misurarsi con i moderni mezzi di comunicazione digitale: dai siti e blog personali fino al mare aperto dei social network.
Chissà, forse anche questo gap conferma l'immaturità della nostra democrazia rispetto, ad esempio, ai sistemi anglosassoni dove invece Internet è diventato ormai uno strumento decisivo in ogni competizione elettorale, tracciando più in generale i nuovi confini delle abitudini e degli stili di vita delle rispettive evolute società a partire proprio dalla politica e dalle istituzioni.
Insomma, i deputati e i senatori italiani non si distinguono certo per brillantezza all'interno della Rete. Poco più del 50% di essi, infatti, "naviga" abitualmente determinando un rapporto, per quanto concerne solo i siti Internet, del 25% contro l'81% di altri Paesi europei con caratteristiche simili alle nostre, che passa al 21% contro il 70% nel raffronto con gli Stati Uniti se si prendono in esame i social network. In genere, la piattaforma preferita dai parlamentari italiani per comunicare e fare propaganda è Facebook (francamente quella più "conformista" e meno stimolante) seguita dal sito o blog personale, da Youtube e da Twitter.
Analizzando i singoli partiti, è il Pd quello più attivo e influente sul web con oltre il 41% dei propri parlamentari presenti. Vengono quindi il Pdl con quasi il 32%, la Lega col 7%, l'Udc e l'Idv con circa il 4,5% e Fli col 2,8%. Per quel che riguarda l'attività di divulgazione del lavoro politico e parlamentare dei singoli gruppi, si conferma al primo posto il Pd che posta on line circa il 70% dei documenti e interventi, seguito in questo caso da Udc (68,6%), Idv (67,6), Fli (50%), Pdl (46,1%) e Lega (43,5%).
Proprio Facebook, però, che come detto è la piattaforma col più alto numero di profili politici attivi, rivela che il 22,5% dei parlamentari non ha mai pubblicato nulla sulla propria bacheca, il 28,7% non ha mai ricevuto commenti da altri utenti mentre ben il 60% (dato in assoluta tendenza col generale e deleterio fenomeno della distanza della politica dai cittadini) non ha mai fornito risposta agli interventi o alle richieste e domande dei propri amici virtuali.
Lo studio di Sara Bentivegna conferma insomma il carattere autoreferenziale della "casta" italiana. Gli argomenti più trattati dagli esponenti di partito e dai parlamentari, manco a dirlo, sono infatti la politica nazionale (69,7%) e quella locale (38,6%), il più delle volte in confronti e attraverso scambi di commenti che vedono esclusivi protagonisti gli addetti ai lavori. Su Facebook sono poi state individuate quattro categorie di parlamentari: 22,2% di "dormienti", che non postano mai; 53,5% di "pigri", che pubblicano occasionalmente; 11,7% di "tradizionalisti", che si limitano a diffondere comunicati stampa e a pubblicizzare eventi che li riguardano; 12,6% di "intraprendenti" (i migliori in assoluto), che interagiscono assai di frequente e non solo coi propri simpatizzanti e sostenitori.
Discorso del tutto diverso va fatto per Twitter, dove lo scorso gennaio risultavano iscritti 198 parlamentari con un incremento addirittura dell'85% rispetto all'anno precedente. Fra essi, equamente divisi fra uomini e donne, il 23% "cinguetta" dalla Camera e il 16% dal Senato. In questo caso è l'Idv il partito più presente con quasi la metà dei gruppi parlamentari, senza dimenticare che Antonio Di Pietro (assieme al collega del Pdl Antonio Palmieri), nel lontano 2007 è stato il primo "twittero" della politica italiana. Seguono Fli col 36,7% dei gruppi, l'Udc col 31,4% e il Pd col 23% circa.
Come per Facebook, anche su Twitter i parlamentari interagiscono poco. Hanno in media intorno ai 2200 followers ciascuno ma ne seguono poco più di 300 a testa e in gran parte appartenenti alla ristretta cerchia di colleghi, dirigenti di partito o militanti. Inoltre, lanciano mediamente appena 11 tweet a settimana e vengono a loro volta retwittati solo 10 volte nello stesso arco di tempo. Il trionfo della pigrizia.
Il dato più curioso della ricerca, non del tutto sorprendente, è che i parlamentari presenti su Twitter sembrano andare d'amore e d'accordo in netta controtendenza rispetto a quanto avviene invece nelle aule di Camera e Senato o nei dibattiti televisivi. Anzi, si seguono a vicenda indipendentemente dall'appartenenza rendendo pienamente visibile, efficace e giustificata la propria immagine di casta autoreferenziale. In sostanza, sulla Rete i parlamentari sottovalutano le reali opportunità di confronto con gli utenti comuni che li seguono per concentrarsi sugli aspetti della propaganda e dell'auto celebrazione, riducendo la presenza sui social network a una sorta di status symbol.
A volte, fortunatamente, gli scambi di battute di quell'esclusivo club un po' snob possono dare vita a episodi davvero gustosi, specialmente quando a provocare l'ilare curiosità generale sono alcuni "cinguettii" dei seguitissimi leader di partito. Gli onorevoli Casini e Di Pietro, beccati nei giorni scorsi, ne sanno qualcosa...
Ancor più fortunatamente, però, ci sono fenomeni eccezionali come l'iniziativa #opencamera lanciata dal deputato del Pd Andrea Sarubbi, che assicura al popolo di Twitter l'utile servizio del "live twitting" delle sedute dalla Camera. Replicato immediatamente dal Senato con #opensenato. Perché il web, al di là del cazzeggio propagandistico, può davvero assolvere ad una importantissima funzione di supplenza rispetto a un'informazione parlamentare spesso carente (e scadente) che si limita all'asettico racconto tecnico di ciò che avviene nelle aule.
E può altresì rappresentare la chiave per provare a riallacciare su basi di effettiva trasparenza il sempre difficile rapporto fra i parlamentari, oggi nominati direttamente dalle segreterie di partito e in quanto tali il più delle volte sconosciuti agli elettori, e la comunità sempre più affamata di sapere quali sono i comportamenti e le iniziative dei propri rappresentanti. Se invece si vogliono usare Internet e i social network semplicemente alla stregua di un palco virtuale da cui comiziare senza contraddittorio e controllo, allora significa che non si ha alcuna intenzione di recuperare almeno la fiducia di quella parte di cittadini che, appunto in quanto attiva sul web, è già di per se stessa più consapevole e informata di altri segmenti sociali.
Chi ha compreso, per un episodio spiacevole che lo ha riguardato poche settimane fa (il divieto di fare comizi impartitogli dai vertici della Lega e il suo successivo sfogo su Facebook), che la Rete è uno straordinario strumento di incontro e di confronto è l'ex ministro Roberto Maroni. Che ha utilizzato proprio quella clamorosa esperienza personale come un utile feedback stimolando, ripetutamente e a differenza di altri esponenti del suo partito, grandi assemblee virtuali. Ma forse l'esempio più calzante, in tal senso, è quello dell'attuale sindaco di Milano Giuliano Pisapia, risultato eletto anche in virtù di una straordinaria e innovativa campagna sul web.
Certo, si tratta ancora di segnali troppo timidi per un Paese che vanta di essere fra le maggiori potenze industriali del mondo. E pure in questo caso, come sostiene ad esempio il prof. Francesco Pira nel suo interessante saggio di recente pubblicazione "La Net comunicazione politica", bisognerebbe imparare dall'evoluta democrazia americana dove Barack Obama viene a ragione considerato il primo "Presidente 2.0" della storia degli Stati Uniti. Là dove la matita copiativa è stata da un pezzo sostituita, nei seggi elettorali, dal touch screen.
Urgono pertanto nuovi stimoli, tanto sul piano dell'approccio culturale quanto a livello di iniziativa legislativa. Per non vanificare e rendere incompleto l'importante intervento deciso il mese scorso dal governo Monti nel Decreto sulle semplificazioni in tema di Agenda digitale. Perché più che ai cittadini, in un ambito nel quale di fatto sono già molto più avanti dei politici, occorre guardare allo sviluppo e all'innovazione della comunicazione politica partendo dai dati della pubblica amministrazione.
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