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Penisola di Crimea: il sogno di una Terza Roma

Creato il 07 marzo 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

AP

di Simone Vettore

Ne “I racconti di SebastopoliLev Tolstoj racconta, ispirandosi alla propria esperienza bellica in qualità di ufficiale d’artiglieria in servizio presso il “famigerato” Quarto Bastione, il lungo assedio (dal settembre 1854 al settembre 1855) patito da questo importante porto sul Mar Nero durante quella che, nei manuali di storia italiani, è denominata guerra di Crimea. La descrizione che Tolstoj dà della città, progressivamente ridotta ad un cumulo di macerie, è meticolosa così quanto spietata l’analisi “sociologica” che egli fornisce del corpo degli ufficiali zaristi, vanagloriosi ed interessati più al rispetto dell’etichetta ed alle convivialità che all’andamento disastroso della guerra. Nonostante la dura denuncia dell’inettitudine dei comandi e dell’assurdità di quel conflitto, il racconto si chiude con l’immagine dei soldati, che avevano combattuto strenuamente, nell’atto di abbandonare la città caduta nelle mani nemiche voltandosi a rimirarla con un’«inesprimibile amarezza nel cuore».

Una simile tenace resistenza, stavolta da parte delle truppe sovietiche, sarebbe stata opposta in occasione di un altro lungo assedio subito dalla città, vale a dire quello nel corso del secondo conflitto mondiale: in questo caso la resistenza nei confronti delle truppe dell’Asse durò dall’ottobre 1941 al luglio dell’anno successivo, con pesanti perdite da ambo le parti [1].

Questi due esempi, a cavallo tra letteratura e storia, ci testimoniano come i russi prima ed i sovietici dopo fossero disposti ad immolarsi ed a morire per la Crimea, considerata come parte integrante della Madre Russia; poco o nulla ci dicono, però, dei motivi per i quali essa abbia ricoperto una così grande importanza per la Russia zarista, per l’Unione Sovietica, fino ad arrivare alla Russia putiniana dei nostri giorni.

La risposta a queste domande ci impone, preliminarmente, un’ulteriore digressione storico-geografica.

Il sogno di una politica mediterranea: il mito della Terza Roma

Potenza essenzialmente continentale, la Russia, sin dal suo nucleo originario identificabile nel regno di Moscovia (a sua volta sorto sulle ceneri del Rus’ di Kiev) ha sempre avuto, per evidenti motivi commerciali e di approvvigionamento, come obiettivo strategico l’ottenimento di uno sbocco diretto sul mare.

Omettendo in questa sede di trattare le vicende che hanno segnato l’espansione fino all’Estremo Oriente ed all’Oceano Pacifico, i bacini più a portata di mano erano sostanzialmente tre: il Mar Bianco, il Mar Baltico ed il Mar Nero. Il primo, essendo per tutta la durata della lunga notte artica impraticabile a causa del formarsi di ghiacci (oltre che “commercialmente” non molto appetibile), non rappresentava una soluzione soddisfacente. Diverso il discorso del Baltico sul quale, pur ghiacciandosi anch’esso per lunghi mesi, perlomeno avvenivano scambi decisamente più fiorenti; purtroppo la presenza di avversari agguerriti, dalla Svezia all’Unione polacco-lituana, portò a frequenti conflitti, spesso terminati con cocenti sconfitte [2].

Diverso il discorso del Mar Nero: navigabile durante tutto l’arco dell’anno, esso rappresentava la porta d’accesso (seppur secondaria) al Mediterraneo ed, in prospettiva, ai mari caldi. Inoltre l’imposizione del controllo sulla sua sponda settentrionale implicava entrare in contrasto con competitor, almeno sulla carta, decisamente più abbordabili: a parte rintuzzare le mire espansionistiche della Confederazione polacco-lituana, si trattava di scontrarsi con il Kahanato (tartaro) di Crimea, ultimo erede dell’Orda d’Oro, Stato formalmente vassallo dell’Impero Ottomano [3]. Quest’ultimo, di fatto, rappresentava il vero ostacolo all’accesso libero ed incontrastato al Mediterraneo: le possenti fortificazioni turche sul Bosforo (Yoros Kalesi, Rumelihisari, etc.) erano lì a ricordare questa dura realtà.

Penisola di Crimea: il sogno di una Terza Roma
Evoluzione storica della Crimea/1: Fonte: National Geographic

Le mire espansionistiche nei confronti della Sublime Porta, ed in generale su quello che era stato il Mare nostrum, erano rafforzate, anche a livello politico-ideale, dalla convinzione, da parte degli zar, di rappresentare i legittimi eredi del defunto Impero bizantino: Ivan III infatti aveva sposato nel 1472 Zoe (Sofia) Paleologo, nipote di Costantino XI, ultimo Imperatore bizantino morto nel 1453 durante la disperata difesa di Costantinopoli: a causa anche del maldestro tentativo del papato di portare la Russia nel campo anti-ottomano, Ivan ricevette una sorta di legittimazione a queste aspirazioni. Ne conseguì l’adozione, nel cerimoniale e nelle simbologie di corte dei riti bizantini; parallelamente si iniziò a fregiarsi del titolo di zar (che come noto deriva dal latino caesar) così come ad usare l’aquila bicipite. Infine diventò prassi presentare Mosca come “Terza Roma” non solo dal punto di vista politico ma anche religioso-culturale [4].

L’ultimo decennio e le esigenze strategiche del Cremlino

Le considerazioni svolte poc’anzi sono in larga parte ancora valide; nonostante la Russia, tanto sotto Eltsin che per buona parte dell’era Putin, sia stata per lunghi tratti costretta sulla difensiva, limitandosi a puntellare il proprio perimetro difensivo “minimo”, non si può dire sia mai venuta a mancare, perlomeno nella retorica, una “vocazione imperiale” [5]. Evidentemente i rapporti di forza non consentivano, all’atto pratico, di opporre una resistenza che andasse oltre alle proteste diplomatiche, anche vibrate, ed all’ostruzionismo in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU: di qui i bocconi amari ingoiati circa dossier percepiti come vitali quali l’allargamento della NATO ad Est, con l’entrata nel patto di quelli che erano a lungo stati satelliti di Mosca o persino repubbliche appartenenti alla disciolta U.R.S.S [6], lo scontro circa la direzione – più o meno russocentrica – che avrebbero dovuto prendere i gasdotti e gli oleodotti originanti dal Mar Caspio (argomento che affronteremo più avanti), senza dimenticare l’autentico schiaffo rappresentato dall’unilaterale dichiarazione d’indipendenza del Kossovo [7], distaccato in tal modo dalla Serbia (2008), Stato quest’ultimo tradizionalmente protetto da Mosca in virtù del comune credo religioso (chiesa ortodossa) e della medesima etnia (panslavismo).

Penisola di Crimea: il sogno di una Terza Roma
Evoluzione storica della Crimea/2: Fonte: National Geographic

Alcuni osservatori individuano anzi proprio in quest’ultimo evento un punto di svolta nella politica estera russa (svolta favorita, a detta dei più maligni, oltre che dalle oggettive difficoltà economiche degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, dal poco polso dell’amministrazione Obama; n.d.r.), a partire dal quale essa si sarebbe contraddistinta per il progressivo irrigidimento: non è un caso se nell’agosto di quello stesso 2008 la risposta russa allo sventurato attacco georgiano in Ossezia del Sud siano state le armi. Mosca, da sempre affetta dalla “sindrome da accerchiamento”, lanciava il chiaro messaggio che non avrebbe più arretrato le proprie linee (esterne) di difesa né tantomeno accettato un ulteriore allargamento della NATO in direzione dei propri confini [8].

Alla luce di quanto esposto si capisce come, nell’ottica del Cremlino, dopo aver perso gran parte delle coste baltiche (dove, oltre alle poche centinaia di kilometri attorno a San Pietroburgo, si è riusciti perlomeno a preservare l’exclave di Kaliningrad/Konigsberg) non sia oggi nemmeno contemplata la possibilità di vedersi estromessi de facto pure dal Mar Nero: infatti verrebbe a mancare, con l’accesso a questo mare, qualsiasi libertà di manovra con il rischio concreto di essere “soffocati”. Per Mosca, in altri termini, è una questione di sopravvivenza.

L’importanza della Crimea oggi

Nelle righe precedenti si è sottolineato come per il Cremlino l’accesso diretto al mare abbia rappresentato nel tempo un’esigenza strategica imprescindibile e, nello specifico del Mar Nero, come la spinta verso sud sia stata spesso rivestita di giustificazioni di ordine ideale, culturale e religioso attraverso quel mito della “Terza Roma” che a sua volta ha rappresentato il presupposto per l’elaborazione di una politica estera che, ad esclusione di momenti contingenti, ha difficilmente rinunciato alla sua  “vocazione imperiale”.

Tenendo ben presente questo quadro articolato cerchiamo di vedere con maggior dettaglio i motivi per cui, come evidenziato nel corso dell’attuale crisi ucraina, la Crimea, con i suoi porti e le sue basi, sia così importante.

  • La prima, ovvia, motivazione è quella di ordine militare: il porto di Sebastopoli, grazie alle sue acque profonde, ha da sempre rappresentato la principale base della flotta del Mar Nero, motivo per cui sono state sviluppate adeguate infrastrutture a suo supporto; in altri termini qualora nel 2010 non fosse stata rinnovata fino al 2042 la concessione stipulata nel 1997 con Kiev (la cui scadenza naturale era prevista nel 2017), Mosca si sarebbe trovata tutto d’un tratto impossibilitata a stanziare nell’area navi di un certo pescaggio ed avrebbe dovuto costruire ex novo le relative installazioni portuali, con evidenti costi. Infatti Mosca in questo teatro operativo dispone di appena due basi alternative a Sebastopoli, delle quali peraltro solo una sorge in territorio russo: si tratta di Novorossiysk, il cui porto però (assieme a quello satellite di Temryuk, affacciantesi però sul Mar d’Azov), per le già citate carenze non rappresenta una soluzione del problema [9].
Penisola di Crimea: il sogno di una Terza Roma
Dispositivo militare in Crimea – Fonte: The Times

Tale dispositivo militare (oltre alla flotta sono schierati fanti di marina ed una ventina di velivoli) risulta di importanza fondamentale nell’assolvimento di molteplici funzioni: oltre ai tradizionali e naturali compiti di pattugliamento e di difesa costiera (e delle varie attività che sul mare si possono svolgere), esso è destinato a fungere da supporto ad eventuali operazioni belliche sulla scorta di quanto già avvenuto nel 2008, allorquando venne posto il blocco navale al porto georgiano di Poti [10], così come da retrovia logistico per la “base avanzata” siriana di Tartus.

  • È soprattutto quest’ultimo compito a far capire l’importanza, per la Russia, di poter schierare sul Mar Nero una potente flotta. Senza le indispensabili e munite basi crimee lo sforzo logistico per mantenere operativa quella di Tartus diventerebbe veramente notevole ed al Cremlino si è consapevoli che, dovesse venire a cadere l’avamposto siriano, ciò rappresenterebbe un duro colpo per la politica estera di Mosca, tale da vanificare lo sforzo (secolare, abbiamo visto) di possedere basi nel Mediterraneo in forza delle quali poter esprimere una propria politica per l’area ed in generale per l’intero Medio Oriente [11].

A proposito di quest’ultimo è interessante sottolineare come, diversamente da come di norma descritto da gran parte degli organi d’informazione generalisti, l’interesse russo per l’area è ben lungi dall’esaurirsi nel sostegno a spada tratta fornito alla Siria. Mosca, ed i giganti energetici russi (Gazprom, Rosneft, Lukoil e Novatek), sono infatti decisi a mettere le mani sui giacimenti offshore di gas scoperti nel tratto di mare al largo di Siria, Israele, Cipro e Turchia. Qui i giochi sono tuttora aperti e non è escluso che il forte coinvolgimento russo nel salvataggio di Cipro, isola sede di una folta colonia di russi (non solo vacanzieri) e destinataria di notevoli flussi di capitali (spesso soldi di dubbia provenienza da “ripulire”), non possa fungere da leva per ottenere la concessione di una qualche ulteriore base d’appoggio nell’area che, evidentemente, si rivelerebbe un efficace “argomento” per ottenere il diritto allo sfruttamento dei giacimenti dell’area e, successivamente, per garantirne la sicurezza. Per quanto l’appartenenza di Cipro all’UE e la presenza della base R.A.F. di Akrotiri facciano, sulla carta, apparire l’evenienza assai improbabile è pur vero che alcuni elementi rendono la prospettiva non del tutto irrealistica; in particolare le differenze di vedute del Cremlino rispetto ad Ankara circa la soluzione della crisi siriana nonché la contrarietà manifestata (ad arte?) al riconoscimento di Cipro Nord mettono Mosca in piena sintonia con Nicosia, al punto da rendere tutto possibile [12].

  • Il riferimento alla partita energetica in atto nel Mediterraneo Orientale ci porta ad affrontare l’ultimo, fondamentale elemento che fa lievitare per Mosca l’importanza del Mar Nero e delle sue basi navali:  sotto alle sue acque infatti scorrono (e scorreranno) alcuni tra i più importanti gasdotti della regione. Si tratta a) del Blue Stream che, partendo dalla regione russa di Krasnodar, attraversa il Mar Nero da nord a sud ed arriva direttamente in Turchia bypassando in tal modo il turbolento Caucaso e b) del South Stream (in corso di realizzazione) che, provenendo sempre dalla Russia, scorre da est ad ovest sotto il Mar Nero riemergendo in Bulgaria dove si biforca, prendendo la strada rispettivamente dell’Italia e dell’Austria. Quest’ultimo progetto ha de facto affossato il concorrente Nabucco che, attingendo dai giacimenti azeri, avrebbe dovuto raggiungere l’Europa attraverso Georgia, Turchia e risalendo infine i Balcani [13].

corridoio energetico meridionale

Appare dunque evidente come per la Russia risulti fondamentale disporre di forze navali in grado di garantire la sicurezza del Mar Nero (laddove l’instabilità del Caucaso ed in subordine dei Balcani ha rappresentato il punto debole dei vari progetti concorrenti) e, si intende, tutelare gli ingenti investimenti delle proprie compagnie energetiche. Del resto queste infrastrutture sono abilmente usate come strumenti politici in grado di condizionare le scelte dei vari partner ed ampliare la propria sfera di influenza.

Conclusioni

Retaggi storici ammantati di una forte componente ideale/ideologica, concrete esigenze militari, sentite percezioni geopolitiche, solide considerazioni geoeconomiche: tutti questi fattori, assieme, determinano l’importanza vitale della Crimea, e delle sue basi, per la Russia.

L’attuale braccio di ferro in corso con l’Ucraina e l’Occidente circa la legalità del referendum confermativo indetto per sancire il passaggio della Crimea dall’Ucraina alla Federazione russa difficilmente vedrà Mosca arretrare dalle sue posizioni.

Nel frattempo proteste di filorussi vengono inscenate a Mariupol, importante porto dell’oblast di Donetsk sul Mar d’Azov e, molto, più ad occidente, ad Odessa, altro importante porto ucraino nonché base della marina di Kiev. Come dire: l’Ucraina rischia di perdere gran parte della sua linea costiera e con essa i suoi principali porti. Il Mar Nero è veramente troppo importante per Mosca.

* Simone Vettore è Dottore in Storia Contemporanea (Università di Padova)

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[1] Vedi B. H. Liddell Hart, Storia militare della Seconda Guerra Mondiale, Milano, Mondadori, 1998, pp. 345-47. Da notare che l’assalto vero e proprio alla città fu condotto dal 7 giugno al 4 luglio del 1942 ad opera dell’11 Armata tedesca guidata da von Manstein (coadiuvata da due divisioni rumene ed anche dalla 101ͣ flottiglia MAS della Regia Marina).

[2] Fu solo al termine della Grande Guerra del Nord (1700-21) che la Russia ottenne saldamente ed in via definitiva il controllo delle coste baltiche; qui Pietro il Grande vi aveva fondato nel 1703 San Pietroburgo e, di lì appresso (1704), la base navale / fortezza di Kronstadt.

[3] Fu il trattato di Kuchuk-Kajnarji, al termine del conflitto russo-turco del 1768-74, ad assicurare il diretto accesso russo al Mar Nero con l’assegnazione del tratto di costa compreso tra i fiumi Dniepr e Bug; lo stesso trattato sancì il passaggio del Kahanato di Crimea dall’orbita turca a quella russa.

[4] Ivan III si guardò per bene dallo scontrarsi apertamente con l’Impero Ottomano, come auspicava il papa, ed anzi si fece protettore del patriarca di Mosca, perpetuando la scissione tra cristiani ed ortodossi che a Roma si cercava, indirettamente, di sanare.  Vedi N. V. Riasanovsky, Storia della Russia, Bompiani, Milano, 2001, pp. 113-15.

[5] Vocazione abbiamo visto insita nel mito della “Terza Roma” e perpetuata, nelle sue essenziali linee di sviluppo, dall’“intraprendente” politica estera portata avanti dall’Unione Sovietica negli ultimi decenni della sua vita (attenzione per l’Asia Centrale, il Mediterraneo e l’Africa, etc.).

[6] Tra gli altri Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e soprattutto i tre Paesi baltici (Estonia, Lituania, Lettonia).

[7] Alla luce di questo (recente) precedente storico bisogna essere dotati di una buona dose di faccia tosta, oggi, per invocare (da parte Occidentale) la non ingerenza negli affari interni dell’Ucraina al fine di preservarne l’integrità territoriale.

[8] Vedi J. Husson, Caucaso: la posta in gioco, in Rivista Italiana Difesa, n. 10 / 2008 (a. XXVII), pp. 28-34.

[9] L’altra base, Feodosia, si trova sempre nella penisola di Crimea ed è dunque anch’essa in territorio ucraino. Per l’insieme di motivi esposti, su Novorossiysk, Temryuk e Feodosia stazionano principalmente unità minori con scarse capacità belliche e/o naviglio ausiliario laddove su Sebastopoli gravitano 5 unità di medie dimensioni destinate ad operazioni anti-som (incluso il lanciamissili Moskva), 2 sottomarini, 7 mezzi da sbarco, 9 tra fregate antisom e lanciamissili, una buona dozzina di unità di vario tipo (dragamine, corvette e pattugliatori costieri) oltre ad un cospicuo numero di navi ausiliarie. Vedi http://flot.sevastopol.info/eng/ship/today_all.htm.

[10] Cfr. RID, cit. n. 8.

[11] A proposito di “sforzo secolare”, è interessante osservare come a regolare le modalità di transito attraverso gli Stretti sia tuttora la datata Convenzione di Montreux del 1936 ed in base alla quale, per quanto riguarda il transito di navi da guerra in tempo di pace, vige l’obbligo di informare il Governo turco almeno otto giorni prima del transito e solo per flotte di un massimo di nove unità ed un tonnellaggio complessivo di 15mila tonnellate (limite superabile esclusivamente dai paesi rivieraschi purché le navi passino una alla volta). Relativamente allo stazionamento nel mar Nero di flotte di Paesi non rivieraschi queste devono avere un tonnellaggio inferiore a 40mila tonnellate. In tempo di guerra in caso di neutralità della Turchia non è permesso il passaggio di navi da guerra di qualsiasi paese belligerante mentre se la Turchia è parte di un conflitto può opporsi al passaggio di navi da guerra di qualunque paese. Da notare infine che esistono specifiche regole per i sottomarini (ne è consentito il passaggio solo se di paesi rivieraschi, di giorno e in superficie, se costruiti all’estero ed esclusivamente per entrare nelle loro basi o per farsi riparare) mentre non esistono disposizioni che autorizzano esplicitamente il transito delle portaerei. È opportuno ricordare che la sottoscrizione di tale accordo sancì il declino definitivo della corrente di pensiero che proponeva la neutralizzazione del Mar Nero, vale a dire la proibizione assoluta di dislocare flotte da guerra all’interno di questo bacino.

[12] In altri termini per Nicosia Mosca, oltre ad offrire un insperato salvagente economico, potrebbe ergersi a sua “protettrice”, capace di tener testa al preoccupante attivismo internazionale di Erdogan.  Sul gas “israeliano” vedi G. Dentice, Nella partita energetica, Israele gioca la carta del Levantehttp://temi.repubblica.it/limes/nella-partita-energetica-israele-gioca-la-carta-del-levante/50361.

[13] Il progetto Nabucco avrebbe evidentemente rappresentato un’importante diversificazione dei canali di approvvigionamento energetico del Vecchio Continente essendo come noto ad oggi l’oleodotto BTC (Baku – Tbilisi – Ceyhan) l’unica via attraverso il quale il petrolio del Mar Caspio, concorrente di quello russo, arriva in Europa senza attraversare in alcun punto territorio russo. La Russia al contrario è riuscita ad “attrarre” su di sé buona parte delle riserve energetiche dell’area caspica attraverso gli oleodotti Atyrau-Samara (che poi procede, con il TransNeft, verso il porto ucraino di Odessa), Baku – Novorossiysk e CPC (Caspian Pipeline Consortium, dai campi di Tengiz alla solita Novorossiysk) e, volendo, potrebbe impedire il transito delle petroliere che si riforniscono nel terminal georgiano di Supsa (altro porto sul Mar Nero). Ulteriori progetti di gasdotti ed oleodotti alternativi (ad es. TANAP + TAP) sono ovviamente allo studio; per una panoramica si rimanda a Davide Urso, L’attivismo del Golfo, http://riskonline.it/2013/12/lattivismo-del-golfo/

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