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Pensieri e riflessioni su "Addio all'estate" di Ray Bradbury

Creato il 07 settembre 2012 da Anjaste @anjaste
Titolo: Addio all'estate Autore: Ray Bradbury Editore: Mondadori Collana: Piccola Biblioteca Oscar ISBN: 8804584289 ISBN-13: 9788804584285 Pagine:166
Sinossi: 1929: l'estate si rifiuta di finire e l'inizio dell'ottobre si rivela inaspettatamente caldo. Ma nel villaggio di Green Town, Illinois, è scoppiata la guerra civile. Si tratta del conflitto vecchio come il mondo che oppone i giovani agli anziani e che ha come posta il controllo sull'orologio che spinge inesorabilmente avanti le vite di tutti. Il tredicenne Douglas Spoulding e la sua schiera di amici e coetanei decidono che non vogliono invecchiare. Per loro gli anziani sono un'altra razza, sono degli alieni, sono il Male e i giovani rischiano di essere soltanto degli schiavi ai loro ordini. I ragazzi e gli abitanti anziani della cittadina si dichiarano guerra ed uno degli anziani resta ucciso in uno dei primi scontri. L'ottantunenne Calvin Quatermain organizza il contrattacco e comincia un lungo e duro confronto che oppone le declinanti forze della vecchiaia all'entusiasmo e alla scanzonata determinazione della gioventù. "Addio all'estate" è l'ideale seguito di "L'estate incantata" scritto esattamente 50 anni fa, ed è il fastoso coronamento della carriera di scrittore di Bradbury: un romanzo al centro del quale c'è il più dolce e impossibile dei sogni umani, ossia la ribellione davanti all'invecchiamento e alla morte. 
Il pensiero di Annachiara: Ci sono luoghi, fisici e non, che, una volta conosciuti, rimarranno nel cuore per tutta la vita. Ci sono luoghi in cui si desidera inevitabilmente, ardentemente tornare.  Green Town è sicuramente uno di questi: L'estate incantata lascia al lettore un'intensa nostalgia di giovinezza e situazioni che non accadono più e tutto ciò che si vorrebbe, quando si termina quel libro, è tornare in quella città, incontrare di nuovo Douglas, Tom e tutti gli altri e vivere con loro altre nuove, meravigliose, piccole avventure.  Ci sono, purtroppo, anche luoghi che alla seconda visita ci deludono. Magari vi si torna in un'altra stagione e ciò che ricordavamo ridente e colorato è ora spento e freddo e niente sembra richiamarci alla mente l'immagine ben scolpita nella memoria. Addio all'estate mi ha dato proprio questa esatta sensazione. Credevo di trovare le stesse atmosfere, la stessa magia del precedente romanzo e invece, purtroppo, sono rimasta delusa. 
“La cosa peggiore è non crescere mai”
Alla fine del libro, in un’intensa pagina denominata Postilla – L’importanza di stupirsi, è lo stesso Bradbury a raccontarci come nasce Addio all’estate; ovvero come appendice de L’estate incantata, che l’editore si rifiutò di pubblicare insieme a quest’ultimo per non appesantire il romanzo iniziale. Ed è sempre l’autore a spiegarci come dopo anni, quell’embrione di racconto si sia accresciuto quasi da solo, quasi per magia, divenendo il libro che vede finalmente la luce nel 2006. Sono passati cinquant’anni da L’estate incantata e, purtroppo, si sentono tutti. A questo romanzo, infatti, non manca solo la freschezza del suo predecessore ma, leggendolo, si ha diverse volte l’impressione che a mancare sia proprio l’entusiasmo che tanto aveva caratterizzato la narrazione dell’estate 1929 a Green Town.
La storia si sviluppa a partire da un’intuizione che coglie Douglas, tredicenne, alle soglie dell’autunno: tutti saremo costretti a crescere, invecchiare, morire. E sono proprio i vecchi che manovrano i ragazzi e li costringono a diventare come loro; vuoti e schifosi. È contro di loro, quindi, che bisogna combattere la guerra civile per far fermare il tempo e non crescere più, non invecchiare, non rischiare la morte. In poco tempo, la guerra viene dichiarata. Le battaglie vedono schierati da una parte Douglas, suo fratello Tom e tutti i loro amici e dall’altra Quartermain, Blake e gli altri vecchi della città. I due generali, Douglas e Quartermain, si affrontano senza esclusione di colpi, quasi con odio perché entrambi chiusi nella propria realtà e nel proprio egoismo. Saranno una festa di compleanno, una ragazza e una nuova consapevolezza a riportare la quiete a Green Town e la calma nei cuori di entrambi favorendo un’apertura al diverso che gioverà a giovani e anziani. Di materiale, insomma, ce n’è più che a sufficienza e, viste le premesse, questo romanzo aveva tutte le carte in regola per divenire un altro capolavoro, un piccolo tesoro per tutti i lettori. Invece. Invece, come detto precedentemente, non c’è niente de L’estate incantata in questo libro. È del tutto assente la poesia e la meraviglia. Innanzitutto, manca completamente la descrizione della stagione: quei brevi e scarsi accenni al declinare dell'estate verso l'autunno vengono riportati quasi per una specie di "dovere di cronaca" senza riuscire mai a portare i profumi e i colori e i suoni che tanto avevo amato ne L'estate incantata.  Non parliamo poi dei personaggi: dov'è finita tutta la popolazione di Green Town? Gli ospiti della pensione del Nonno, le due signore con l'automobile, l'inventore della macchina della felicità... niente, in questo libro non c'è più nessuno.  Inoltre, tutta la prima parte si riduce al racconto, neanche troppo emozionante, di una serie di atti di vandalismi compiuti senza un vero motivo da una banda di ragazzini (che passano semplicemente per teppisti) della cui intelligenza si dubita fortemente lasciando solo una sensazione di noia, o, se vogliamo, sconforto e desolazione per le premesse tradite.
“Chiunque faccia un passo avanti, vince. Nessuna partita a scacchi è mai stata vinta dal giocatore che resta seduto tutta la vita a meditare la prossima mossa"
Per fortuna, si salva qualcosa della seconda parte.  Dalla tregua in poi, i discorsi sulla vita e la morte iniziano a farsi interessanti, i dialoghi acquistano un senso ed emerge una filosofia velata da una malinconia indicibile ma non per questo meno bella e sicuramente in tema con l’autunno alle porte. C’è in particolare un capitolo dedicato ad un intenso dialogo tra Quartermain e Blake che se potessi trascriverei per intero perché è davvero bello e riesce, da solo, quasi a riscattare un libro tutto sommato mediocre. Un altro dialogo davvero carino e particolare, assolutamente surreale oserei dire, è, proprio alla fine del libro, l'ultimo scambio di battute tra Quatermail, Douglas e i rispettivi organi genitali in una metafora fin troppo esplicita ma molto divertente sul crescere e morire.
"Ci pensi mai, alla Terra che gira a quarantacinquemila chilometri al secondo o giù di lì? Potrebbe scaraventarti nel vuoto, se chiudessi gli occhi e dimenticassi di reggerti"
Insomma, tirando le conclusioni, devo purtroppo ammettere che questo libro non mi è piaciuto quanto avrebbe potuto e dovuto.  Ciononostante, non mi sento affatto di sconsigliarne la lettura. È una lettura scorrevole e, seppure in molti passaggi non convinca appieno, i dialoghi finali, ci tengo a ribadire, valgono l’intero testo. In fondo, Ray Bradbury si conferma, anche nelle piccole e più recenti opere, il grande scrittore che tutti conosciamo e dispiace, data la sua recente scomparsa, pensare che non avremo più sue nuove opere, neanche sottotono, nemmeno come questo romanzo.

Annachiara



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