Caspar David Friedrich è diventato famoso grazie alla copertina della Critica del Giudizio: non che un grande pittore
der Wanderer Ueber Dem Nebelmeer (Photo credit: hospi-table)
abbia bisogno di questo, la coincidenza tuttavia fa pensare. L’arte non può stare chiusa a chiave in luoghi che sembrano frigoriferi o cantine come i musei. Nasce dalla vita quotidiana, dalla conversazione, dalle riflessioni e dall’ispirazione dell’artista attraversato dalla storia che ondeggia fra decisioni, azioni e pensieri di tutti quanti. Perché allora rinchiuderla? Il curatore della Critica del Giudizio (ed. BUR) ha scelto un grande pittore del tempo di Kant. Ecco l’immagine del gentiluomo raffigurato di spalle che guarda l’infinito dall’orlo di un precipizio. Porta gli abiti dell’agiatezza ma il suo sguardo, che non vediamo, è il nostro. Sta guardando ora nel precipizio mentre lo guarda chiunque veda il quadro, ovunque lo spettatore (l’uno dentro l’altro fuori dal quadro) si trovi e si lasci prendere dall’angoscia della libertà di non cedere al fascino di un’immensità vuota, mortale e illimitata, che si trova oltre il ciglio a un passo da lui. Der Wanderer Ueber dem Nebelmeer: il viandante sopra il mare delle nuvole. Il viandante è figura protagonista anche di Schubert (la Wanderer-Fantasie per pianoforte), appartiene alla musica e alla cultura romantica, e ha addirittura radici bibliche.
Ma ci sono altri viandanti che si sono fermati in un quadro di Caspar David Friedrich: sono coloro che si recano in processione verso una croce, in piena campagna. Friedrich li rappresenta in un istante particolare. Ci si immagina i fedeli ormai giunti davanti al crocefisso, protesi nella preghiera e nella contemplazione verso la divinità. No, non è quello il loro posto. Il quadro li colloca prima di una svolta, fra due alberi, come un ingresso. Che non varcheranno mai: non possono, il quadro li ferma lì. La processione è un desiderio, nulla di più è concesso. Il gentiluomo sull’orlo dell’abisso si ribellerebbe giustamente, come Kant, l’agnostico che lo ospita.
Lo spazio assolato, sereno, illimitato, lascia riposare in una tensione soave il crocifisso. La scena raffigurata si svolge lontano dall’osservatore, che si ritrova spaesato, attratto, estraneo ed intimo. Il crocifisso si rivolge a un infinito vuoto, a una natura che non contraccambia il suo sguardo e non vede i fedeli che guardano il segno sacro solo da una prospettiva obliqua, ancora troppo lontani ed estranei.

Caspar David Friedrich, Pellegrinaggio
Allora è un pellegrinaggio fermo e infinito, la divinità giace in un’immensità che nessuno può contenere, misurare, padroneggiare. Non c’è tempio, non ci sono muri, non ci sono confini. La smisuratezza dell’ambiente naturale allontana le persone raffigurate nel quadro, così come l’osservatore. L’infinito non potrà mai essere violato. Per questo si sente libero il viandante.






