Tutto quello con cui Chiara era abituata a identificare la sua vita non esiste più. Perché, a volte, capita. Capita che il tuo compagno di sempre ti abbandoni. Che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto. Che il tuo lavoro venga affidato a un altro. Che cosa si fa, allora? Rudolf Steiner non ha dubbi: si gioca. Chiara non ha niente da perdere, e ci prova. Per un mese intero, ogni giorno, per almeno dieci minuti, decide di fare una cosa nuova, mai fatta prima. Lei che è incapace anche solo di avvicinarsi ai fornelli, cucina dei pancake, cammina di spalle per la città, balla l’hip-hop, ascolta i problemi di sua madre, consegna il cellulare a uno sconosciuto. Di dieci minuti in dieci minuti, arriva così ad accogliere realtà che non avrebbe mai immaginato e che la porteranno a scelte sorprendenti. Da cui ricominciare. Con la profonda originalità che la contraddistingue, Chiara Gamberale racconta quanto il cambiamento sia spaventoso, ma necessario. E dimostra come, un minuto per volta, sia possibile tornare a vivere
No. Non mi è piaciuto.
Il mio primo approccio (e credo l’ultimo) con la Gamberale è stato un fallimento.
Dalla sinossi non mi aspettavo certo Guerra e Pace. Ma, potenzialmente, era un libro godibile e divertente, e pensavo anche “istruttivo”.
La mia già ridimensionata impressione si è dimostrata ancora troppo ottimistica.
Per dieci minuti è un libro “vuoto”, pieno di luoghi comuni, e che ti lascia una sensazione di nulla una volta finito.
Non so fino a che punto la storia sia autobiografica, ho preferito non indagare troppo. Ma il mondo è pieno di donne che soffrono, che perdono tutto in pochi istanti, che finiscono a chiedersi il senso della propria vita. E, per quanto possa essere interessante e bello, il gioco dei dieci minuti non è qualcosa che fa passare la sensazione del fallimento. Solo il tempo che passa, le distrazioni, le amicizie, e perché no, occuparsi di tutt’altro, a prescindere dai dieci minuti, fanno diventare quello che è successo solo un’altra cicatrice.
Mi ha molto innervosito il continuo parlare di “Mio Marito”, il metterlo sempre e comunque al centro, anche quando non avrebbe dovuto esserci, anche quando, dopo mesi, sarebbe stato il caso di mandarlo definitivamente a quel paese.
L’unico momento veramente bello è stato quello dei “dieci minuti” (che poi dieci non son stati) con la madre. A chiederle veramente “come stai?”, a interessarsi veramente di colei che di tutti si preoccupa e che mette sé stessa in secondo piano.
Ed è stato l’unico momento degno di nota, quello che, ammetto, mi ha riempito gli occhi di lacrime.
Poi, libro piatto, spesso tentata di abbandonarlo, mi son ripetuta che, per meno di 200 pagine potevo fare uno sforzo.
Uno stile di scrittura confusionario, poco chiaro. Frasi lunghe, intervallate da tante virgole e continui cambi di soggetto e predicati verbali. Una scrittura gonfiata per nascondere quello che effettivamente diceva: nulla.
Tre stelline. Solo per l’amore della mamma.