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Per fare voglia agli sposi

Creato il 29 luglio 2010 da Fabry2010

di Alfonso Nannariello

Puntate precedenti  I - II

Non so se il primo piatto al pranzo dei miei furono r cannàzz.

R cannàzz sono un tipo di pasta lunga, quanto i bucatini, ma con un foro molto più largo. Una sorta di grossi maccheroni detti a Napoli maccheroni di zita.
Noi chiamiamo «zita» sia la promessa sposa, sia la ragazza il giorno che si sposa, e «zit» il corrispondente maschile. Chiamiamo «zita» anche la ragazza da marito non ancora maritata, e la zitella, la donna con la pelle che si sgrana arrugginita in ogni sua membrana.
«Zita» una volta deve essere stato un fiore così pieno di grazia che deve essere diventato il simbolo e il nome delle vergini nel corpo e dentro il cuore, un fiore talmente bello che chi sposava una così l’ostentava sulla giacca, al foro dell’occhiello.
Per la festa di nozze il primo piatto erano, perciò, i maccheroni di zita.
Non so perché fossero chiamati così. Sicuramente erano una figurazione dell’uomo primordiale, dell’androgino. La forma allungata indicava la parte maschile, il foro quella femminile.
Nel nostro parlare «mangiàrs r cannàzz» significava mangiarsi la verginità. Significava per la donna essere stata praticata.

Le stelle filanti, invece, si chiamano zaharèggh. Il termine deriva da zagara. Evidentemente una volta al posto delle stelle filanti si spargevano i petali dei fiori d’arancio sugli sposi.
Ballando il primo ballo r zaharèggh lanciate su di loro si attorcigliavano. Ingarbugliandosi addosso come una matassa, quasi li soffocavano. Forse anch’esse simboleggiavano la fusione dei due in una sola cosa. Avvolti dalla testa quasi fino ai piedi da quelle strisce di carta variopinte, i due prendevano la forma di un corpo solo, venivano fusi in una sola sorte. Erano, forse, una forma d’augurio per la vita, un buon auspicio per ogni giorno fino alla fine dei giorni, fino alla morte.



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