Ai molti che mi invidiano il mestiere del libraio e si domandano inorriditi perché si scelga sempre di più la libreria di catena piuttosto che una bella e piccola libreria di quartiere mi diverto a chiedere quanti di loro si servano ancora nelle vecchie mercerie di una volta per compare le loro mutande.
A quel punto la mia situazione peggiora sempre un po’. Perdo completamente la stima del mio interlocutore che sbalordito e un po’ schifato mi fa notare l’enorme differenza fra un paio di pedalini o mutande e un bel libro. Beh insomma, non ci vorrei mai stare nei mutandoni e panciere di una volta e che sia benedetta la catena di produzione delle stesse che ce le rende decenti, omologate, portabilissime. Preferirei portarmi a spasso un libro sbagliato che un paio di mutande scomode. Dico io.
A questo punto la provocazione è chiara, oppure mi hanno già ammazzato. I negozi di catena hanno vantaggi enormi per tutti noi: inviano messaggi chiarissimi e banali che vengono decodificati rapidamente e in maniera praticamente inconscia. Se scelgo un grande supermercato so che troverò tutto ciò che mi serve: risparmio tempo, non devo chiedere nulla perché tutto è organizzato in spazi ben divisi e nessuno mi convincerà, almeno palesemente, ad acquistare altro da ciò che voglio.
Anche nella scelta di una buona lettura è il tempo quello che scandisce le nostre opzioni: devo poter avere a disposizione una gamma molto ampia di scelte concentrata in un solo luogo e in un solo momento. Laddove il tempo è libero, devo poterlo risparmiare per poterlo investire in altro da fare altrettanto rapidamente e da consumare in fretta, il tempo dell’ozio è cadenzato esattamente come quello lavorativo in momenti di azione e pausa, azione e pausa. La libreria di catena mi garantisce tutto questo.
Inoltre sarò completamente anonimo: nessuno mi disturberà nella mia selezione, sarò artefice del mio destino e di quello che voglio. La maggior parte dei negozi di catena hanno mobili bianchi o trasparenti: l’idea di un’architettura e di un design minimalista sembra essere un altro elemento indispensabile, il massimo consentito è una selezione di colori del marchio declinati su alcune pareti che sta lì a ricordarti dove sei e cosa sei venuto ad acquistare. Bisogna non solo essere anonimi, ma sentire che anche l’altro lo è e che non bisogna necessariamente confrontarsi con un interlocutore per acquistare una merce.
Al contrario, in una piccola libreria (indipendente) si rischia di provare l’imbarazzo per un luogo di una metratura ridotta, in cui il confronto è necessario, viene eliminato con locali enormi e dispersivi, come pure la possibilità che quel luogo nel momento in cui stiamo entrando sia vuoto senza altri avventori e che quindi l’attenzione del commerciante si concentri su di noi per offrirci un consiglio, magari un caffè e – ommioddio! – chiederci come stiamo. Nelle librerie di catene (e nei negozi di mutande) ci sarà invece la musica a toglierci dall’imbarazzo di un eventuale silenzio prolungato o di una conversazione forzata, inoltre – è dimostrato – come la musica ci renda più propensi all’acquisto.
Insomma, finisce che solitamente tutti dichiarano con un misto di vergogna e pudore di frequentare non solo librerie di catena, ma anche negozi di scarpe e vestiti e mutande e di detersivi e di generi alimentari etc etc di catena. Sinceramente, non capisco il motivo di tanto inutile imbarazzo. Mi sembra lo stesso patema d’animo che coglie a volte gli intellettuali di una certa sinistra moderata che non possono, forse proprio perché moderati, permettersi di guardare una telenovela dai contenuti smodatamente trash senza lamentarsi di quale punto di mediocrità abbia raggiunto certa nostra televisione. Lo stesso identico incomprensibile ribrezzo che coglie alcuni editori verso proposte commerciali di altri, credendo che la qualità stia solo nella nicchia, che più è difficile più ci piace (e chi se ne infischia se poi non piace a nessuno e non vende nemmeno una copia!).
Mi sono convinta come libraia indipendente, rea confessa frequentatrice di librerie e negozi di mutande di catena, che la varietà culturale è quella che vada tutelata e protetta. Che il prodotto di nicchia non esiste, la libreria di nicchia non esiste, il libro per pochi non ha scampo. Esiste semmai una diversa possibilità di comunicare la propria esistenza, di essere tutelati come elemento raro nel panorama culturale, di proporre ancora un’alternativa all’anonimato del molto. Esiste una necessità di non sentirsi donchisciotteschi, ma di proporsi ai pochi, con la voglia che siano molti, anche solo per potergli dire che non siamo migliori, ma siamo solo diversi.
PS. Per favore, non facciamo gli eroi è il titolo di una raccolta di poesie e racconti di Raymond Carver, edito da Minimum Fax; l’ho acquistato alla Feltrinelli.