Anna Lombroso per il Simplicissimus
Qualcuno ha detto che mettere di fronte Berlusconi e il ceto politico del centro sinistra è come proiettare su uno schermo un filmo pornografico e sull’altro le tribune elettorali con Forlani e Rumor.
Il paragone è folgorante..ma non è del tutto calzante: c’è qualcosa di altrettanto “scostumato”, impudico e svergognato nelle esternazioni o nei silenzi, negli annunci o nelle astensioni di chi di Berlusconi ha dimenticato di essere avversario. Stamattina Agorà, trasmissione simbolica dello sconfinamento nell’oscenità più di un film a luci rosse, ha mandato in onda una lunga intervista a un altro volto prestato alla degenerazione italiana, il Veltroni che ancor prima di Strada ha scoperto l’Africa in Italia e naturalmente se ne serve come terreno di conquista per riaffermare la sua presenza e la sua invadenza irriducibili.
Se si facesse una diagnosi medica della patologia che grazie a questi figuri ha contagiato il paese potremmo forse parlare di “marasma”, quella confusione senile nella quale l’anomalia prende il posto della normalità, si ostentano le “vergogne”, ci si abbandona a un linguaggio scurrile. Così la trasgressione diventa regola in una disgregazione della psiche, proprio come le regole democratiche si sono perse in una liquefazione istituzionale, nell’arbitrio, nella personalizzazione, nell’invecchiamento precoce di una democrazia, peraltro appena nata.
Non è solo Berlusconi il volto dissoluto e turpe prestato a questo processo, sono altrettanto depravate le facce degli altri attori dell’indecente tribuna politica che fingono di opporgli in un teatro dell’assurdo dove si assegnano a vicenda le parti in commedia.
Ci hanno fatti prigionieri di un blocco sempre più strutturato su una logica di ceto, sempre più separata dal tutto ciò che sta in basso, sia cittadinanza, movimento, elettorato, società civile. E anche di un racconto pubblico, quello dei processi e delle intercettazioni, di Veltroni e dei suoi libri presentati a Agorà davanti a giornalisti ginocchioni, che ha sempre meno a che fare con la nostra vita, che viaggia e si riproduce lungo il filo ininterrotto che va dai media alla classe politica e dalla classe politica ai media e che ogni giorno ci dice che solo il loro è il mondo che conta, che cosa dobbiamo pensare, cosa è meglio per noi, cosa deve essere assunta come realtà, e che cosa, al di fuori di essa, è lingua morta. Un racconto pubblico di gergo e gossip, di immagini effimere ma pervasive che irrompono nella nostre esistenze attraverso i titoli dei Tg e le interviste, piuttosto che nelle sedi decisionali e rappresentative.
Oggi Veltroni, in preda al suo personale marasma che lo rende immemore di responsabilità come i vecchi sporcaccioni che con l’età pensano di riguadagnare l’innocenza, ci ha spiegato che grazie alla crisi non hanno più ragione d’essere le idee e le forze conservatrici, perché in Italia “non c’è più niente da conservare”, beati noi, che così possiamo conservarci alla modernità e al progresso di quel riformismo, incarnato dalle fornero, dai renzi/fonzie, dai ministri consegnati alle banche e delle rettore al servizio delle istituzioni private, dei letta assoggettati al Pdl. In effetti abbiamo poco anche da riporre in frigorifero grazie a una classe politica che ha combinato inadeguatezza, incompetenza, impreparazione, irresponsabilità, con cinismo, malaffare, corruzione. E che ha scelto la pacificazione delle larghe intese, tanto tempo fa, quando ha dismesso ogni proposito di smantellare l’edificio degli interessi contrastanti e delle leggi ad personam, quando ha interrotto ogni sforzo per immaginare un’altra via, un’alternativa al sistema di profitto e sfruttamento.
E infatti nel loro processo di riappacificazione si colloca in testa l’improbabile alleanza ideale e operativa tra padroni e sfruttati, tra imprenditori e operai, tutti nella stessa barca, e chi se ne importa se qualcuno è dotato di salvagente e qualcuno è destinato dalla lotteria naturale ad affondare. Tutti insieme Calearo e gli operai di Pomigliano, Colaninno e quelli dell’Ilva. Veltroni fa lo sbruffone perché non “ci sta” a essere relegato nel suo orticello letterario. Ma i suoi Calearo, i suoi Colaninno non erano stati assoldati da lui, sono loro ad aver noleggiato la barca del suo partito per ambizione e avidità, come sine cura e scialuppa per togliersi da qualche guaio e come tutti i padroni sono pronti a buttare a mare anche lui.