Un tale – non ne farò il nome – si era rivolto al Tribunale della Sacra
Rota per ottenere l’annullamento del suo matrimonio. Accadeva tanto tempo fa, quando in Italia non era ancora possibile divorziare. A denunciare lo scandalo del «divorzio di classe», che la Sacra Rota concedeva solo a quanti potevano permetterselo, erano davvero in pochi, ma tra quei pochi – alla faccia della coerenza – c’era quel tale. Ottenne quello che voleva.Non sappiamo dove abbia trovato il denaro che era necessario (insegnava Lettere in un istituto tecnico), tanto meno sappiamo quale motivo avesse addotto all’istanza, sappiamo solo che la Sacra Rota, oggi come allora, annulla un matrimonio solo quando il richiedente sia disposto a dichiararsi impotente o idiota, sennò d’aver detto «sì» al prete che lo sposava, però intendendo dire «no», o perché non aveva capito bene la domanda: o coglione, insomma, o disonesto.A rileggere le ridondanti prose che il militante divorzista stendeva a quei tempi, non parrebbero esserci dubbi: per lo più si trattava di disonestà. Sia chiaro, però: disonestà non già nello sposarsi dichiarando genuino un convincimento che in realtà era simulato, ma nel chiedere l’annullamento del matrimonio dichiarando simulato un convincimento che in realtà era genuino. Con la Sacra Rota disposta ad avallare, in cambio di un bel pacco di soldi.Siamo costretti a tirar fuori questa misera storiella dalla fogna delle cronache italiane a cavallo tra i Sessanta e i Settanta perché oggi quel tale viene a farci la lezioncina di morale laica pigliando spunto dalla vicenda di un tizio che «si era rivolto al Tribunale Civile di Roma avanzando la richiesta di disconoscimento di paternità rispetto ad una bambina che lui aveva riconosciuto, alla nascita, come figlia propria, per adottarla poi all’atto del matrimonio con la madre. “No, non è mia figlia - ha sostenuto nella richiesta - quando l’ho riconosciuta ho dichiarato il falso”. Contro le sue aspettative, il tribunale ha sentenziato che “l’autore del riconoscimento effettuato in mala fede non è legittimato a impugnarlo successivamente per difetto di veridicità”. Quel riconoscimento, pur così inficiato, non può essere revocato, anche dopo aver acquisito “la piena consapevolezza della sua falsità”» (Il Foglio, 25.10.2012).Se con la mala fede sei stato capace di ottenere quel che volevi – chiedo – non dovresti esser più mite nel giudicare chi con la stessa mala fede non ha ottenuto ciò che voleva? Macché, «nel caso in questione non si tratta di smascherare la contraffazione di una prova fattuale compiuta al fine di trarre vantaggi da una paternità mai veramente esistita; qui si tratta di una persona che per motivi suoi ha inteso, anche affermando il falso, riconoscere una sua paternità ed oggi, per motivi suoi, vuole invece annullarla».«Per motivi suoi», cioè non «miei» – tutta qui, la differenza.Magazine Società
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