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Per ottenere la separazione è sufficiente la disaffezione di uno dei due coniugi

Da Daniela Conte @StudioAvvConte
LA GUERRA DEI ROSESImmagine tratta dal film “La guerra dei Roses”

Con la sentenza n. 1164 del 21.01.2014, la Corte di Cassazione si è adeguata ai nostri tempi in materia di motivazioni che possono portare i coniugi alla separazione.

Tizio deposita ricorso presso la Corte di Cassazione avverso la sentenza di separazione pronunciata in primo grado dal Tribunale (e confermata secondo grado dalla Corte d’Appello) a seguito di ricorso per separazione giudiziale depositato dalla ex coniuge Caia, non motivato da conflitti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della vita coniugale e familiare, ma da disaffezione soggettiva nei confronti dell’altro coniuge, tale da portare all’intollerabilità della convivenza.

La Suprema Corte fa, preliminarmente, un’excursus in merito alll’evoluzione dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di motivazioni alla base dei ricorsi per separazione.

Prima dell’entrata in vigore della Legge del 1975 di riforma del diritto di famiglia, infatti, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario privilegiava l’elemento della colpa in materia di separazione; successivamente all’entrata in vigore della norma sopra citata, al contrario, è stato introdotto il profilo della intollerabilità della convivenza tra i coniugi, come motivazione sufficiente per la pronuncia di un provvedimento giudiziale di separazione (consensuale o giudiziale).

L’art. 151, comma 1^, cod. civ. – a norma del quale ” La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole ” – (a parte qualche prima pronuncia a seguito dell’entrata in vigore della Legge del 1975 sopra citata, tra le quali si segnala la sentenza della Corte di Cassazione n. 3348 del 1978), è stato interpretato nel senso che “…. non è tanto ai comportamenti che si riferisce l’art. 151 c.c., quanto alla situazione di intollerabilità della convivenza che pur frequentemente ne è conseguenza… “.

La Suprema Corte, nella sentenza che qui si commenta, aggiunge che ” … possono bensì determinati comportamenti, contrari ai doveri matrimoniali, condurre all’intollerabilità della convivenza, ma pure altri fatti che nulla avrebbero a che vedere con la violazione degli obblighi matrimoniali (ad esempio, diversità di cultura tra i coniugi, incompatibilità di carattere, ecc…..) e, d’altro canto, non tutte le violazioni degli obblighi familiari dovrebbero necessariamente condurre a tale risultato. Senza contare che nell’attuale disciplina nessuna differenza è posta tra coniuge “colpevole” o “incolpevole”, se di “colpa” si deve ancora parlare (rectius tra coniuge che ha o non ha violato i doveri matrimoniali); pertanto, anche il coniuge “colpevole” può chiedere la separazione, affermando che proprio il suo comportamento ha condotto all’intollerabilità della convivenza…”.

A questo punto, i Giudici con l’ermellino precisano che, relativamente al rilievo oggettivo o soggettivo del principio di intollerabilità della convivenza con riferimento al coniuge che richiede la separazione, vi sono due orientamenti giusirpudenziali che tutelano, rispettivamente, l’interesse individuale dei coniugi o un (presunto) superiore interesse della famiglia.

La Suprema Corte, con riferimento ai due orientamenti sopra citati, ritiene che si debba decidere “… se rilevino la “penosità soggettiva” della convivenza per il coniuge che richiede la separazione, ovvero elementi in vario modo più oggettivi…“.

Inzialmente, nella giusiprudenza di legittimità ha prevalso l’orientamento a favore della c.d. tesi “oggettivistica“, giustificandolo con la necessità di garantire l’unità della famglia e il diritto di ogni coniuge alla prosecuzione della convivenza, tranne che nelle ipotesi di oggettiva intollerabilità della medesima (si vedano, tra le altre, Cass. civ. n. 5752 del 1979 e Cass. civ. n. 67 del 1986).

Di conseguenza, se il Giudice accertava che non vi erano situazioni di “intollerabilità oggettiva“, aveva l’onere di respingere il ricorso per separazione.

Differente è l’orientamento della giurisprudenza di merito, la quale ha individuato nuove ipotesi di intollerabilità della convivenza tra ii coniugi, tra i quali l’incompatibilità di carattere, i contrasti tra differenti culture o credenze religiose, contrasti ideologici, manifestazioni di disaffezione, di distacco fisico e psicologico, ecc.

Un orientamento giurisprudenziale successivo ha, poi, posto l’accento sulla intollerabilità della convivenza e il venir meno della volontà di vivere insieme manifestata “soggeettiivamente” dal coniuge mediante deposito del ricorso per separazione giudiziale e nella mancata adesione al tentativo di conciliazione, con conseguente fallimento del medesimo.

L’orientamento sopra citato, recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in questi ultimi anni, è manifestazione dell’adesione alla c.d. tesi “soggettivistica”, secondo cui  non è “… necessaria la sussistenza di una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben ptendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una delle parti, tale da rendere per essa intollerabile la convivvenza, pur ammettendosi che l’altro coniuge desideri continuarla” (in proposito, la Suprema Corte cita le sentenze Cass. civ. n. 12893 del 2005, Cass. civ. n. 3356 e n. 21099 del 2007, Cass. civ. n. 7215 del 2011; Cass. civ. n. 2274 del 2012).

I Giudici con l’ermellino aggiungono che “ Espressione dell’atteggiamento di disaffezione e distacco unilaterale sopra indicato, può considerarsi dunque la presentazione stessa del ricorso e il successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze (negative) del tentativo di conciliazione: è evidentemente venuto meno quel principio di del consenso che, dopo la riforma del 1975, caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale, e il giudice non può che prenderne atto “.

Orbene, nel caso di specie Caia ha motivato la richiesta di separazione giudiziale da Tizio affermando di non sopportare più il marito e, pertanto, di volersi separare da lui.

Caia ha mantenuto l’atteggiamento sopra indicato durante tutto lo svolgimento del processo – in particolare, durante la fase preliminare del tentativo di conciliazione, che ha avuto esito negativo -.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di Tizio.

Roma, 11.02.2015

Avv. Daniela Conte

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