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Per quanto distante tu possa andare

Da Marcofre

In questo vecchio filmato su Lev Tolstoj, che ho già mostrato in passato, c’è un punto interessante. Si trova al trentacinquesimo secondo, più o meno:

 

 

C’è un mužik, un povero contadino russo al cospetto di Tolstoj. Si toglie il berretto, sta a debita distanza, mentre l’altro personaggio, parla con lo scrittore; è un suo pari. E lo stesso Tolstoj è con questi che chiacchiera, non sembra preoccuparsi del contadino. Siccome è un frammento, non sappiamo nient’altro. Probabilmente dopo lo avrà invitato in casa (o forse no), lo avrà fatto sentire a suo agio (o forse no).

Che il buon Lev non se la prenda con me se adesso dico la mia.

Puoi correre lontano, ma due cose saranno sempre con te: la visione che gli altri hanno di te. E quello che tu sei. Fine. Sono marchi che ti segnano e non te ne puoi liberare. Tolstoj apre scuole, entra in rotta di collisione con la chiesa ortodossa, con lo zar, sta dalla parte dei poveri contadini, rinuncia ai diritti sul romanzo “Resurrezione”.

Eppure quando si trova di fronte a un mužik, sembra che per un attimo quello che era (o è?), vale a dire il nobile russo, torna a galla. Per un breve istante, tutto quello che è stato (gli agi, i privilegi) sembrano affascinarlo di nuovo e per un attimo hanno il sopravvento sul suo percorso “pauperistico”. Perché ci sono cose che entrano in noi, sotto le unghie, nei pori, colano nel cuore, nell’anima. E riemergono.

E nonostante i tuoi sforzi, gli altri (i mužik), ti guardano per quello che sei: un nobile russo strano. Che “aiuta”.

E dopo, c’è quello che gli altri vedono di te. Non quello che sei (diventato); ma il tuo ruolo. Sei il nobile, che hai aperto scuole e fatto tante cose belle eccetera, eccetera.

Però sei il nobile, punto. Quello che hai fatto non cambia la tua indole, agli occhi degli altri. Sei e resti uno originale, “sincero”, ma non appartieni che al tuo rango, non sarai mai un mužik, anche se ti vesti come loro, cerchi di parlare come loro e li frequenti. Per loro, sei il conte.

Forse Tolstoj lo capì. Per questo fuggì, prima di morire, in un ultimo tentativo di sottrarsi a un fato che alla fine gli era sembrato invincibile.

 


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