Come dicevamo nella prima parte, le fiabe non sono affatto un genere letterario di serie B, anzi: grandissimi scrittori, come Puškin e Tolstòj, Andersen, Perrault e Yeats, hanno dedicato la loro arte alla stesura di fiabe, attingendo alla fantasia popolare per creare opere originali che sono però anche il ritratto del popolo stesso.
Il Romanticismo aveva risuscitato l’interesse verso la poesia antica e tradizionale, soprattutto in Inghilterra e in Germania, e da lì ai racconti popolari il passo era stato brevissimo. Da questa spinta verso le radici e la ricerca di una poesia nazionale nascono le Fiabe dei fratelli Grimm. E benché dedicata ad Elizabeth von Arnim per il piccolo Hans, in realtà i Grimm concepiscono la raccolta come un’opera rigorosa che possa servire da base per gli studiosi di folklore. Altro che storielle per bambini (e abbiamo già parlato del contenuto poco “infantile” vero?).
Comunque sia, i Grimm fanno un lavorone: raccolgono i racconti, e -in maniera non troppo scientifica- combinano le diverse varianti, integrandole l’una con l’altra. E agiscono da bravi fratelli: mentre la raccolta è lavoro di Jacob, Wilhelm si occupa della rielaborazione e, nel corso delle varie edizioni (soprattutto la seconda e la terza), il suo stile prende il sopravvento, unito ad un linguaggio fresco e popolare. Da questo perfezionamento nascono le fiabe come noi bambini di un tempo le conosciamo: vive, drammatiche, piene di colore e immagini.
“Aspetta, Gretel, che sorga la luna: allora vedremo le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa”.
Quando sorse la luna si alzarono, ma non trovarono più nemmeno una briciola: le avevano beccate i mille e mille uccellini che volavano per campi e boschi. Hänsel disse a Gretel: “Troveremo la strada lo stesso”. Ma non la trovarono.
Con le Fiabe irlandesi di William B. Yeats come nelle Fiabe popolari inglesi raccolte da Katharine Briggs si scivola decisamente in un mondo in cui reale e fantastico non conoscono separazione: i folletti –festosi e dispettosi quant’altri mai- convivono con gli esseri umani e tutte le altre stirpi che popolano la terra, corteggiano fanciulle e tirano scherzi ai villici. Ma oltre a loro troviamo personaggi storici (Bacon e Cromwell), santi (Giuseppe e Patrizio su tutti) e guerrieri, gatti e giganti, e poi il diavolo, che a volte si fa gabbare dagli uomini, ma resta comunque temibile e oscuro. Soprattutto quando lancia massi enormi o cavalca alla caccia di anime.
Un mondo articolato e vivace, che racchiude luce e ombra, poesia, narrazione e musica insieme: tutto è un insieme armonico che culla il rimpianto per una società che sta per scomparire.
Tutto questo nell’Ottocento. L’Italia dovrà invece aspettare a lungo prima di avere il “Grimm italiano”, nonostante i primi libri di fiabe vere e proprie risalgano al Cinquecento… ma l’attesa sarà valsa la pena. Sono i primi anni Cinquanta quando Italo Calvino riceve da Einaudi l’incarico di raccogliere, tradurre dai vari dialetti e rielaborare le Fiabe italiane. Calvino ci lavorerà per più di due anni e questo impegno immane non sarà senza riflessi sulla sua opera successiva.
Per due anni ho vissuto in mezzo a boschi e palazzi incantati, col problema di come meglio vedere in viso la bella sconosciuta che si corica ogni notte al fianco del cavaliere, o con l’incertezza se usare il mantello che rende invisibili […]. Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra.
Il mondo della fiaba italiana, come emerge dalle parole di Calvino, è molto diverso dal nebbioso, truculento, talvolta spaventoso mondo germanico: anzi, uno degli elementi cardine delle narrazioni nostrane è una continua trepidazione d’amore, con le conseguenti traversie da affrontare per conquistare la bella di turno.
E non manca un intento moralistico, giacché alla fine assistiamo alla vittoria della virtù e del Bene e al castigo dei cattivi. In questo senso, e grazie alla finezza della scrittura di Calvino, si torna alla fiaba come narrazione rivolta ai bambini.
Scorrere le duecento storie narrate da Calvino, partendo dalla Riviera ligure di ponente, scendendo per tutta l’Italia fino alle isole (Corsica inclusa), è come affondare le mani in un forziere di gioielli, di cui alcuni mai visti prima. Ma se tornate con la memoria alle storie di qualche vecchia zia o della nonna non vi saranno sconosciuti i nomi di Fanta-Ghirò o di Prezzemolina, di Cola Pesce o di Giovannin-senza-paura.
Io intanto vi saluto così:
E Puškin e Tolstòj direte voi? Beh, non crederete mica che le favole si esauriscano in un solo incanto, dovrete attendere la prossima parte… un pizzico di pazienza. Intanto vi saluto con un inchino degno del Gatto con gli Stivali.
Favola lunga e favola stretta
Dite la vostra, che la mia l’ho detta.