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Perché Macondo esiste

Da Marcofre

Conoscere se stessi è conoscere la propria regione.

 

Lapidaria affermazione di Flannery O’Connor, che forse scopre l’acqua calda, afferma un concetto banale. O forse no.

Mi torna in mente subito la Londra di Charles Dickens. Oppure San Pietroburgo e Dostoevskij. Parigi e Simenon. Né si può dimenticare Ignazio Silone e il suo Abruzzo (“tradito” solo una volta, con “La volpe e le camelie”, ambientato in Svizzera).

Chissà, forse uno dei mezzi per distinguere la narrativa che dura da quella di puro intrattenimento, occorre badare anche ai luoghi dove l’autore ambienta le sue storie.

Gabriel Garcia Marquez e Macondo, il fantasmagorico luogo dove vive “Cent’anni di solitudine”. Basta leggere quel romanzo per capire che esiste eccome, quella cittadina. Ed esiste non perché cercandola su una carta geografica la troveremo. Esiste perché Garcia Marquez conosce se stesso, e la propria terra.

Molte persone ritengono che sia da provinciali scrivere dei propri luoghi, a meno che non sia New York, Shangai o Nuova Delhi. Pure io una volta avevo una simile idea, poi me ne sono liberato.

Chi pensa questo, è perché ha paura di fare i conti con se stesso. Questo non gli impedirà di scrivere, e di avere successo, probabilmente. Però il rapporto con la propria regione è quello che conduce a noi. Se “regione” è troppo ampio, possiamo scrivere “città”, persino “paese” va bene.

La prima regola da tenere buona, a portata di mano insomma, è comprendere che non ci sono luoghi indegni di una osservazione speciale. Se reputiamo che ci siano luoghi di seria A e quelli di serie Z, è perché non abbiamo occhi e sensi in grado di cogliere la vita. Quindi, nemmeno la nostra vita può essere compresa e conosciuta.

Piagnucolare che: “Vivo a Cartosio!” “Vivo a Sassello, come mai potrò scrivere qualcosa di buono!” è una sciocchezza. Si tratta di alibi e basta, mentre in realtà manca la disciplina, la voglia, la conoscenza della lingua italiana. Poi magari manca pure il talento, però anche un ciottolo di fiume capirebbe al volo che questo tipo di affermazioni sono stupide scuse di chi non ama la parola, ma la celebra solo con le chiacchiere.

Un luogo, che sia una stanza, o una cittadina sulle alture liguri, non è mai una scenografia stinta, assemblata in fretta e furia. Nemmeno deve essere eccessiva nella sua presenza.

È una realtà viva, che respira.

Macondo esiste eccome, benché sia una “creatura” della fantasia di Garcia Marquez. Nessuno dubita della sua esistenza perché l’autore ha imparato a conoscere (quindi ad amare) la propria terra, e questa lo ha guidato alla scoperta di qualcosa di sé che egli o dava troppo per scontato, o ignorava.

Soltanto questo grado di conoscenza, vasto e assieme profondo, gli ha permesso di forgiare proprio Macondo.

Ma da qualunque parte si cominci (la propria regione; oppure se stessi), alla fine il risultato non potrà che essere un’attenzione nuova alla realtà, e quel punto non importa se sarà “piccola”. Avremo i sensi ormai in grado di cogliere quello che è importante.

 


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