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Perché non ci regaliamo una Silicon Valley “italiana”?

Da Fugadeitalenti

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C’è un dato che mi ha stupito, leggendo quanto riportato dallo studio prodotto in occasione del recente Italian Innovation Day in California.

In un solo anno, la percentuale di neoimprese che hanno abbandonato l’Italia per andare a svilupparsi all’estero, costituendovi la propria sede sociale, ha fatto registrare un balzo in avanti del 20%. Nel solo 2012, hanno rappresentato ben l’11% del totale delle nuove imprese italiane (più di una su dieci!). Un vero e proprio “corporate drain”: la maggior parte delle start-up innovative, rivela il rapporto, ha scelto gli Stati Uniti.

Per tre motivi, principalmente:

-al primo posto, il network di contatti presente in California;

-poi, la possibilità di accesso a risorse umane di alto livello (ingegneri, programmatori, manager);

-infine, la prossimità a centri di ricerca di prima scelta, che offrono innovazione e personale altamente qualificato.

C’è anche, ovviamente, la questione del mercato del venture capital, infinitamente più sviluppato in Silicon Valley.. ma non è l’unica condizione favorevole presente, questo va precisato.

“Ma quello è un altro mondo”, il solito guastafeste potrebbe obiettare. Già, ma se poi guardiamo alla quantità di imprenditori e cervelli italiani, che negli ultimi 40 anni hanno contribuito a rendere la Silicon Valley un luogo unico al mondo, e se guardiamo alla vitalità del panorama start-up della Penisola (con 800-1000 nuove imprese che nascono ogni anno), ci accorgiamo che potrebbe essere necessario solamente costruire l’infrastruttura giusta, con la determinazione e lo spirito giusti, per dare nuovo slancio a un tessuto industriale in affanno, come quello italiano. Gli ingredienti li abbiamo tutti, vanno solo ” sistematizzati”.

Il vero paradosso infatti è che, nonostante la crisi, sopravvivono e incrementano il fatturato -anche in Italia- le aziende che innovano ed esportano. La ricetta è sotto gli occhi di tutti. Basterebbe avviare una politica industriale che vada in quella direzione. Una politica industriale in grado -collateralmente- di evitare sia il brain drain che il corporate drain.

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