Perire o sopperire?
Domande per le quali occorre accavallare le gambe e incrociare le braccia, affondando in una modellabile poltrona rossa con lo schienale all’altezza dei braccioli ai quali ci si attacca per non annegare. Perire, un verbo all’infinito, ha linee trasversali, insenature nelle quali si incrosta polvere e sporcizia da fare infezione, da strigliare con un coltello appuntito facendo attenzione a non farsi male.
Sopperire, un verbo reggente, supporta e sopporta il peso della sofferenza, ponendone una fine, una lunga striatura che scalfisce una – seppur frammentaria – fine.
Alla radice di tutto questo trasalire, un’interrogativa si arrotonda alla punteggiatura: sulla virgola, tra i due punti, nello spazio.
Le gambe si srotolano, le braccia si slegano e il peso del corpo cade in avanti. L’espressione contorta del viso si rilassa, brancola in qualche secondo di dovuto silenzio e poi riprende.
Non è forse questa la risposta?
Tra i verbi si contrae l’inattesa indipendenza, per cui il primo verbo non è mai la conseguenza del secondo, perire e sopperire non sono sinonimi, l’uno si discosta dall’altro, per volere o forse per volare e lentamente si giunge a un punto. È un vizio di forma.
Il puzzle non combacia, l’indice della mano destra tenta di farlo incastrare con forza, tanto che alla fine ci riesce e il puzzle è completo fino a quando non si decide di disfarlo e rifarlo ancora una volta. C’è una certo piacere nel ricominciare, ma quando il puzzle è di nuovo completo, lo si abbandona nell’angolo giochi o lo si appende a un quadro. Un’opera da ammirare. Tanto più è difficile il puzzle tanto più grande è la soddisfazione finale, e tante son le sfumature e i colori quanto è bassa la probabilità che il puzzle venga disfatto e ricostruito, un’altra volta.
Ma c’è dell’altro, oltre al puzzle, c’è uno di quei quaderno da colorare che compravi in edicola con papà. Dovevi sempre fare attenzione a non superare i bordi. E i contorni, più erano forti meno probabilità c’era di far traboccare il colore, rovinando l’immagine.
Questa volta, il guardare dalla stessa direzione è solo un vizio dell’occhio; la libertà e libero arbitrio sono la stessa cosa perché nessuno dei due ha confini e direzioni.
Anche l’amore è indefinito, ma finisce nel momento in cui gli diamo la forma della persona che amiamo.
L’amore – al contrario – dovrebbe essere come la libertà, un libero arbitrio deforme, infinito, e senza spigoli.