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Peter gabriel 2

Creato il 12 settembre 2012 da Stanza51 @massimo1963
PETER GABRIEL 2 Il secondo numero della rivista Peter Gabriel esce nel 1978, ad un solo anno di distanza dal primo. Il volto in copertina, marchio di fabbrica del nuovo Gabriel, mostra due sfregi che tutto sommato non alterano la fisionomia dell'autore. Quel che conta è che - rispetto al primo album - l'alterazione è un po' più evidente: se lì la pioggia  ed un riflesso sul parabrezza nascondevano più che alterare, qui è evidente il tentativo (non riuscito) di deformare. La progressione, splendida e simbolica, proseguirà nel terzo lavoro e culminerà nel quarto, dove l'irriconoscibilità del volto diventa assoluta. L'interpretazione delle copertine dei primi quattro album è utilissima per stabilire l'impressione che l'autore ha di se stesso con riferimento alla sua evoluzione musicale, un'interpretazione largamente condivisa dal suo pubblico e dalla critica in generale. Se il volto naturale del primo disco riflette la componente autobiografica e solare di Solsbury Hill, il tentativo di sfregio presente nel secondo richiama Exposure, composta con Robert Fripp, che è anche il produttore del disco. Volendo insistere sull'aspetto dell'evoluzione musicale dell'artista, è proprio su Exposure che dobbiamo focalizzare l'attenzione. La ripetizione produce variazione sembra essere il nuovo Credo di Gabrial, un loop musicale e verbale figlio della fascinazione minimalista che in futuro toccherà i suoi vertici con Intruder, Milgram's 37 e - perché no - Fourteen Black Paintings.  Se invece guardiamo all'album in sé, come semplice raccolta di brani, non possiamo non notare due splendide appendici intimiste di Here comes the flood: Indigo e Mother of Violence. La prima si apre con la voce di Gabriel, riflessiva e triste, subito seguita da pochi, essenziali accordi di pianoforte.
E' troppo tardi. Questo modello è scaduto. Ho con me tutti i pezzi di ricambio, ma non c'è più molto cuore qua dentro. Non è più come una volta. Ero bravo nell'arte di sopravvivere. Ho sempre cercato di tenere segrete tutte le mie preoccupazioni. Dove posso occultarle ora? Sono completamente privo di nascondigli
Questi primi versi introducono ad una riflessione sulla vita che sta per finire. Alla morte ci si avvicina nudi, senza difese. L'ironia però non manca
Going to cross the dark dark river Going to see my good life-giver Better cover my yellow liver
Quasi una filastrocca nell'avvicinamento a Dio, difronte al quale è meglio coprire il mio fegato giallo.
Mother of Violence è invece un'accattivante e dolcissima nenia scritta a quattro mani con la (ex) moglie Jill. In questo brano l'arrangiamento, essenziale e delicato, si fonde alla perfezione con la struttura della musica e del testo. C'è tutto il Gabriel riflessivo ed assolutorio: la paura è la madre di ogni violenza in un mondo in cui si fa fatica a respirare, un mondo in cui ogni dato è racchiuso in un microfilm.
Il resto dell'album è a mio avviso rovinato dall'invasività di Fripp: brani come White Shadow e Home sweet Home, così cariche di effetti orpellistici, avrebbero meritato miglior sorte in sede di arrangiamento. D.I.Y. ha una ritmica accattivante e rappresenta in pieno l'urgenza di Gabriel di voler andare avanti da solo, senza cioè sottostare a principi democratici in un contesto come quello creativo che ha invece bisogno di logiche dittatoriali. Perspective , What a wonderful day in a one-way world e Animal Magic sono, a mio avviso, tre brani inutili. Flotsam and Jetsam è invece un piccolo capolavoro di sintesi musicale in cui il canto, stridulo ed inquieto, ben evidenzia il malessere esistenziale di cui il testo è impregnato. Su On the Air, il brano che nelle intenzioni di Gabriel avrebbe dovuto fare da apripista alla saga di Mozo, lo straniero venuto da Mercurio, concedetemi una digressione del tutto personale. Il brano è carico di energia ed è l'unico - forse - a mettere in rilievo la bravura dei musicisti presenti: Roy Bittan alle tastiere, Tony Levin al basso, Sid McGinnis alla chitarra elettrica, Jerry Marotta alla batteria, Larry Fast al synth. E' proprio del synth di Fast, della sua straordinaria apertura che voglio parlare. In altra sede (http://stanzacinquantuno.blogspot.it/2012/04/vietri-sul-mare-ed-il-computer.html)  - ho avuto modo di citare indirettamente il synth di On yhe air per la lucentezza quasi palpabile e capace di agire a livello subliminale. So che si tratta di un'esperienza personalissima e difficilmente estendibile, pertanto vi prego di prenderla per quello che è. Nel complesso l'album è di transizione verso i lidi più nobili rappresentati dal terzo e quarto Gabriel. Resta però uno snodo importante nella carriera di Peter, un punto di rottura definitivo con l'esperienza-Genesis, un eterogeneo contenitore di bigiotteria spicciola e di preziosi gioielli.

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